Parte uno

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Il nemico dell'essere umano è la noia.

La noia è costanza, è routine, è il per sempre.

Nel profondo di ogni anima risiede una violenza distruttiva, una tendenza a sgretolare le cose più care, che serve per costruirsi il pretesto di doverne cercare altre.

Il processo distruttivo ha inizio quando le giornate intraprendono una rotta circolare, dal destino già scritto, il cui corso è uguale a quello della giornata precedente e sarà il modello di quella successiva.

La mente spazia scenari diversi, di vite diverse, di persone diverse; finché la routine appare come uno schema da spezzare, una prigione da cui evadere, un'agonia a cui porre fine.

Ogni fibra del corpo freme di irrequietudine, la mente cede all'avventatezza e si compiono scelte che mai prima d'ora si sarebbero compiute.

Scelte sbagliate.

Scelte che portano al dolore, alla nostalgia, al rimpianto.

Scelte dal sapore del veleno, al cui interno, però, risiede la salvezza.


"La vita si annida negli stimoli, e di stimoli il cambiamento ne è pieno"

Questa è la mia filosofia, che mi guida a strappare di mano un modulo ad un ragazzino, il primo giorno di scuola del mio ultimo anno di superiori.

"Ti unirai ad un club sportivo quindi." Constata Illumi, seduto a gambe incrociate sul suo banco.

La luce gialla e chiara che filtra attraverso le tende dell'aula illumina le sue lisce ciocche di capelli neri e ravviva la pallida pelle del suo lungo viso triangolare.

"Mi tocca, dato che mi abbandoni." Mormoro in tono piatto, mentre compilo il modulo d'iscrizione per il club di lacrosse.

Quest'anno Illumi seguirà dei corsi di preparazione all'università e non uscirà più con me il pomeriggio dopo la scuola.

"Perché proprio lacrosse? Sai come si gioca almeno?" Mi chiede, con negl'occhi scuri come la pece una scintilla di scetticismo.

"Credo sia uguale alla maggior parte degli sport con una palla: devi tirarla in una rete. Non è questo che mi importa, comunque."

"Hai voglia di conoscere gente nuova?"

"Esatto - Dico sorridendo al foglio fra le mie mani – Vado a consegnarlo."

Piccoli campanelli di persone affollano il corridoio, riempiendolo di urla, risate e passi. Nonostante le uniformi siano tutte uguali, mi basta lanciare un'occhiata alla postura per capire di che anno è chi le indossa. Quelli del terzo camminano con le mani in tasca, la schiena curva e un ghigno tatuato in volto; si sdraiano contro le vetrate con disinvoltura, abbandonano la propria cartella contro il muro e parlano a voce alta, noncuranti di chi li ascolta. I primini invece si rintanano agl'angoli dei corridoi, bisbigliano e tremano di eccitazione, scrutando a testa bassa ogni volto che passa loro accanto. Quelli del secondo, che hanno avuto un anno per comprendere il ritmo di vita dello Shoshin, portano con loro i segni dell'arroganza che infetta questo posto e squadrano dall'alto in basso i nuovi arrivati sperando di intimorirli, imitando chi l'anno prima aveva fatto lo stesso con loro.

La strafottenza incarnata dagli studenti è il marchio di fabbrica dello Shoshin, una caratteristica che mi affascinava alle medie e per la quale decisi di iscrivermi.

La parola 'Shoshin' simboleggia la voglia di fare, la paura di sbagliare e l'impaziente curiosità di conoscere; ciò viene ribadito tutti gl'anni dal preside durante la cerimonia di apertura e ricordato ogni giorno da un orrendo striscione azzurro, affisso sul muro dell'atrio, che fissa intensamente gli studenti che si cambiano le scarpe.

A coloro che popolano questo edificio la voglia di fare non manca di certo; peccato solo che tal voglia non la impieghino per studiare, quanto per combinare cazzate.

Difatti ogni mese qui succede qualcosa di eclatante.

Nell'aprile del mio primo anno, durante la mia prima cerimonia di apertura, un mio senpai ruttò sonoramente, scatenando il più grande putiferio che avessi mai visto. A settembre dello stesso anno, tre ragazze che erano state sgridate per aver portato scollature troppo ampie, la mattina dopo si spogliarono la camicia all'ingresso, rimanendo in reggiseno. A quell'episodio susseguirono le gesta del 'ritrattista', che affisse per tre giorni consecutivi fotomontaggi dei professori per tutti i muri della scuola, finché non fu beccato il quarto a tappezzarne la palestra. I periodi che intercorrono fra questi scandali sono riempiti da risse e liti quotidiane, simbolo che gli studenti di questo posto non hanno proprio voglia di annoiarsi.

La paura di sbagliare è invece l'ideale meno azzeccato per questo istituto. Qui nessuno ha paura di essere beccato, anzi, è proprio facendosi scoprire che ci si guadagna la fama a cui si auspica.

Le leggende di questa scuola hanno riso mentre venivano trascinate all'interno dell'ufficio del preside e hanno continuato a farlo quando sono state accompagnate all'uscita.

La loro risata è l'ultimo ricordo che lasciano, è la loro eredità alle future leggende, un invito ad imitarle.

Tutto questo mi eccitava da impazzire, quand'ero un primino, tanto che promisi che l'anno dopo avrei compiuto anch'io un gesto estremo.

Il mio secondo anno passò più lentamente del primo.

Passai molti mesi ad osservare e a progettare.

Cosa mi avrebbe reso indimenticabile?

Più i giorni passavano, più le idee aumentavano.

Potevo imbrattare un muro della scuola con dei disegni osceni, o lanciare delle uova sulla macchina del preside.

Avrei potuto attaccare un pene di carta sulla schiena di qualche professore, o far trovare su delle cattedre dei bizzarri sex toy.

Eppure, nonostante di piani ne avessi molti, la mia motivazione scendeva sempre più in basso.

Fare una cosa del genere mi avrebbe fatto espellere su due piedi e l'unica cosa che ci avrei ricavato sarebbero stati quindici minuti di fama.

Non dico che l'idea non mi appagasse, ma ciò comportava abbandonare le scuole superiori e le bravate da liceale e la vita in quell'istituto non mi aveva ancora stancato dopotutto. Fare la leggenda non era cosa per me, così continuai a vivere da normale studente dello Shoshin, partecipando a qualche pestaggio dietro la palestra, marinando la scuola con Illumi e fumando sul tetto; tutto per provare l'ebrezza del proibito.

Ora però, alle porte del terzo anno, mi chiedo se continuare a compiere queste azioni basti a soddisfare la mia sete di emozioni.

Forse mi serve un nuovo giocattolo.

Guardo un'ultima volta il modulo che stringo fra le mani, mentre lo consegno al coordinatore della squadra di lacrosse maschile in aula professori.

Chissà, forse il campo da gioco potrebbe davvero diventare il mio parco dei divertimenti. 

\\ spazio autrice \\

Ehi.

Com'è questo primo capitolo? 

Rispetto alla mia prima fanfiction, questa sarà molto più lunga e per certi versi complicata. 

Ti aspetto nella seconda partee ;D

baci

Anthyllis 

⬇ (Art credit: 𝙢𝙞𝙣𝙞𝙘𝙝𝙞𝙚𝙨 on twitter) 

⬇ (Art credit: 𝙢𝙞𝙣𝙞𝙘𝙝𝙞𝙚𝙨 on twitter) ⬇

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𝒁𝒆𝒓𝒐 | Hunter x HunterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora