Parte tre

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Dopo aver indossato tuta e scarpe da ginnastica, poso lo zaino in uno dei pochi armadietti ancora integri della stanza.

Prima di uscire in campo, passo in bagno a darmi una sistemata ai capelli e noto con mio grande rammarico che nemmeno quel piccolo spazio è riuscito a sfuggire alla furia delle generazioni che per anni lo hanno usato.

"È lo Shoshin, cosa mi aspettavo?" Sussurro fra me e me, mentre percorro con lo sguardo gli specchi dai bordi tagliati e le cabine dei bagni dalle porte sfregiate e disegnate, spesso senza maniglia ed in un'occasione direttamente senza porta.

La vernice bianca agl'angoli della stanza è sepolta da enormi macchie di muffa nere e le luci al neon sul soffitto sono circondate da aloni di sporcizia.

Tante crepe sottili percorrono serpeggiando le piastrelle sul pavimento e si ispessiscono man mano che si raggruppano in un unico punto, completamente distrutto.

I pomelli dei lavandini sono incrostati di calcare, come i sifoni e i manici delle docce e dai bordi dell'unica finestra presente penzolano strisce di silicone ormai sporco e consumato.

L'odore non è dei peggiori, probabilmente perché è inizio anno e non è stato utilizzato durante le vacanze.

Penso istintivamente all'attrezzatura che avrei toccato e indossato fra qualche minuto, ed un altro tipo di tanfo s'insinua nelle mie narici.

Il fetore pungente e ripugnante delle casacche che non vengono lavate da anni.

Quello dei caschetti logorati dal sudore altrui.

Quello dei guantoni di pelle consumati.

Il mio stomaco sussulta a quel pensiero e decido di uscire, nauseato, dagli spogliatoi.

Appena poso un piede sul campo, la mia ombra si proietta lunga e stretta sul prato e una decina di volti si girano nella mia direzione.

Ci sono i due ragazzi che mi hanno parlato stamattina. Quello più grosso, Uvogin mi pare si chiami, ha un ghigno in volto e tiene le mani sui fianchi; sembra un pugile esaltato al pensiero di massacrare il suo avversario sul ring o un leone pronto ad assaporare la sua preda. Quello magro e alto invece mi squadra con sufficienza, tenendo le braccia incrociate e un sopracciglio alzato, come se il cameriere di un ristorante gli avesse portato una pietanza dall'aspetto orrendo. Un ragazzo alto, con gl'occhi incavati e i capelli biondi pettinati all'indietro, mi osserva con sguardo truce e minatorio e allo stesso modo fa quello accanto a lui, un ragazzino basso, dalla chioma nera come la pece e la pelle pallida. Altri tre, probabilmente del primo anno, mi guardano invece con aria impaurita, tenendo la testa bassa, mentre accanto a loro un paio di occhi verdi e tondi mi studiano con velata diffidenza.

Solo una figura al centro del gruppo ha un'espressione gentile e serena.

Viene avanti nella mia direzione allargando un sorriso e quando è abbastanza vicina mi tende la mano.

"Hisoka Morow, giusto?"

"Giusto." Rispondo stringendogliela.

"Io sono Lucilfer Chrollo, il capitano di questa squadra. È un piacere averti con noi."

"Il piacere è tutto mio."

Il capitano, noncurante delle espressioni contrariate e di disprezzo sui volti dei suoi compagni, ordina loro di iniziare il riscaldamento, nel mentre che lui mi avrebbe spiegato le regole e le posizioni del gioco.

Quando la piccola platea si dissolve, egli si volta verso di me e mi sorride ancora.

Ha gl'occhi grandi, di un grigio torbido e scuro e le ciglia lunghe e nere, come i suoi capelli. Le palpebre inferiori sono leggermente arrossate, mentre quelle superiori si vedono appena.

𝒁𝒆𝒓𝒐 | Hunter x HunterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora