Capitolo 4

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Il carnevale degli orrori,

la sconfitta della verità.

Non c'è virtù che sopravviva alle tenebre delle menzogne.

Personaggi insorgono, richiamano l'origine,

soccombono al meschino creatore.

Ho mentito per proteggermi. La negazione è l'arma migliore al mondo, l'annullamento del reale per far spazio alle necessità. Vivendo una volta sola non si ha grandi margini di riparazione; quindi, è ingiusto pensare che un individuo possa farsi carico di una tale umiliazione. Il demone doveva scomparire, e con lui ogni traccia del mio smarrimento, la prova della mia insicurezza. Dovevo cancellare i sospiri, le consolazioni e le urla. Un nuovo mondo avrebbe rimpiazzato il vecchio regno, e nel nuovo governo avrebbe comandato un capo più sagace, una guida furba e consapevole. Nel suo regime non sarebbero stati ammessi i devianti, i disastrati dalla seducente estetica. Tutte le mie azioni, ogni mio pensiero o battito, sarebbero stati rivolti a Ricciolo, il fondamentale pilastro della mia impresa. Riforme nuove aprirono freschi orizzonti alla mia inventiva, mutando la mia personalità attraverso una parlantina più carismatica e coinvolgente. La comunicazione sottostava pienamente al miocontrollo, immune da titubanze linguistiche o emotive. Non provavo vergogna nell'esprimermi, anzi filtravo le mie parole con i giusti suoni, dando vita ad armoniose melodie. Iniziai a ridere più spesso, confacendomi ai contesti in cui decidevo di inserirmi, portando appresso alla mia brillante figura la nobile perfezione di Ricciolo. Attirai sguardi di interesse, mi confrontai con nuove menti e imparai a circondarmi di persone, preservando nel caos sociale l'amore che fungeva da motore per le mie continue metamorfosi. Il nuovo capo seppe colorare il mio volto arricchendolo di fascino, ingrandii il mio repertorio relazionale aiutandomi ad esplorare nuove frontiere. E ovunque andassi, in qualunque spazio o tempo, Ricciolo mi teneva la mano stretta per non perdermi di vista. Sentii di essere insostituibile fino a quando non mi accorsi del suo sguardo. Tra gli schiamazzi divertiti del mio pubblico, Ricciolo non sorrideva. Preferiva concentrarsi sulla nitida chiarezza della luna, o sui fiori che crescevano attorno a noi. Quegli ambienti annichilivano il suo essere, ma soprattutto mi fecero dimenticare a quale pianeta appartenessi per davvero. Assunsi l'identità di un personaggio estraneo a me, un signorino pronto a vendersi e adattarsi senza darsi tregua. L'animo venne cristallizzato in cerca di un miglioramento superficiale, condividendo becere supposizioni umoristiche, accontentandosi di risa piene di falsità. L'ecosistema reale tornò a presentarsi con la sua solita facciata di ghiaccio, presente grazie alla singolarità dell'interesse sugellato in nome del proprio piacere. Volevo la popolarità, esigevo di essere il migliore, di suscitare invidia solamente per sentirmi più forte di quanto non fossi mai stato. Necessitavo di provare al vecchio burattinaio che non tutti i mali vengono per nuocere, e che approfondendo trama e personaggi avrei subito un'epifania illuminante e rivoluzionaria. Purtroppo per le sue direttive, l'unica rivelazione che ebbi fu l'essere incommensurabilmente irrilevante. Per la gente, per il pubblico, per l'amore, ma più di tutti per Ricciolo. Mi comportai come una foglia arrogante, un'insignificante elemento vegetale ricolmo di presunzione nel poter credere di diventare un albero staccandosi dal proprio ramo. Mi posai sul freddo asfalto e le macchine mi schiacciarono, ricordandomi quanto futile fosse impegnarsi sperando nella generosità del vento. Il petto si restrinse compattando il cuore e Ricciolo si perse nella nebbia, tra i fumi appartenenti alla mia dimensione, i gas eterei scappati dall'anima valicando le sommità del corpo, delusi dal mio comportamento innaturale. Rimasi in balìa di me stesso, vacuo nello spirito e così leggero da spiccare il volo.

RICCIOLODove le storie prendono vita. Scoprilo ora