Capitolo 9

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Anima e corpo rinunciano ai compromessi,

amore e piacere si sottomettono agli impulsi.

Siamo belve senza controllo,

giocatori d'azzardo che han paura di perdere.

Rubo un attimo per parlare del piacere. Che cos'è? O come voglio intenderlo? Essendo la mia storia, suppongo che la mia interpretazione venga prima di tutte. Al momento il piacere è il corpo con cui mi compiaccio. È l'angioletto terrorizzato che ostenta le sue necessità, obbligandomi a prendere parte alla sua redenzione emotiva. Il piacere è il suo modo di accarezzarmi, le dita tra i miei capelli, la lingua che rintocca contro la mia e i suoi sussurri esasperati, come se la nostra dipendenza fosse una droga a cui è impossibile resistere. Il piacere è anche il primo respiro al mattino, il momento in cui metto piede fuori casa e guardo il cielo. Non mi interessa del clima, della pioggia fredda o del sole caldo; mi importa ritrovarmi a levitare tra le soffici colline nuvolose, cosciente di come la giornata possa esaurirsi in un paio di istanti. Il piacere è il segno d'intesa con un amico, quel magico momento in cui ci ritroviamo sulla stessa linea cognitiva e comportamentale, dove le menti si intrecciano per dar vita ad un'opera più grande di loro stesse. Piacere non è unicamente una funzione subordinata del corpo, non si avvale di sole sensazioni carnali. Quando descrivo le movenze del demone, non è la sola percezione della sua attrazione a rendermi il piacere. Guardandolo penetro nel suo spirito, e lì mi accorgo della realtà dei sentimenti, della passione con cui potrebbe ritrovarsi a piangere di fronte a me. Il piacere è l'intensa consapevolezza di avere pieno controllo del mio organismo, della forma e del contenuto. Rattristandomi provo uno strano piacere, non perché sia succube della mestizia o della sofferenza, ma perché, se non fossi capace di concedermi delle lacrime, mi specchierei in una pozzanghera del deserto, arido nel cuore e povero nell'anima. Il piacere che provo è la conseguenza del mio distaccamento metaforico. Abbandonando il platonismo amoroso a cui regalavo tutti i miei principi e l'interezza delle mie emozioni, ho scoperto una scintilla scoppiettante e brulicante di gusti, idee e sensazioni. Dissolvendomi dalla vita di Ricciolo, ho imparato che posso amare provando piacere, che l'immediatezza di un gesto sa sorprendermi, oltre che farmi felice. E benché la felicità venga ridotta ad un intervallo di minuti soltanto, il mio cuore si cosparge di un miele dolce, spingendomi a scivolare tra le parole della gente, nei loro flussi ricolmi di umanità. Solo un interrogativo mi costringe ad accasciarmi al suolo, una domanda dalla quale non mi trovo in disaccordo. È giusto affrontare la realtà assecondando la teoria dei complementari, rifacendosi ad un assunto molto semplice: qual si voglia elemento ha un proprio contrario, esiste una dimensione opposta a quella che viviamo. Vale per ciò che fiorisce dentro di noi, come quello che cresce all'esterno. Giorno e notte ne sono un esempio concreto. Dunque mi stringo le ciocche tra le mani, nascondendomi in memorie felici e straripanti di piacere. La domanda persiste, tortura i miei sorrisi e modella la mia faccia in un teatro di disperazione e paura:

Come potrei sentirmi...Se tutto dovesse finire?

RICCIOLODove le storie prendono vita. Scoprilo ora