Capitolo 16

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Non avevo più il controllo dei miei pensieri, dei miei egoismi, di me stessa. Avevo letteralmente perso la testa. Le mie giornate si racchiudevano nel lavoro e nell'alcool, due cose essenziali per la mia vita. Non sapevo stare ferma un secondo, camminavo senza sosta ovunque: per le strade della città, per l'ufficio, per casa, non avevo direzioni ben precise, avevo solo bisogno di camminare.
Valter mi guardava da lontano perché quando cercava di avvicinarsi io scappavo, ero immersa nella paura di lasciarmi andare; non volevo ferirlo, non volevo ferirmi quindi ci stavo lontana.
Non sapevo più che desiderare: volevo lui, lui voleva me; lui voleva me, io non volevo lui. Forse è proprio così: quando le cose sono impossibili si desiderano di più, che stupida ed insensata è la vita. Che stupida ed insensata che ero io. Sapevo di desiderare la sua presenza, i suoi abbracci, i suoi baci, ma lo tenevo a distanza.
Presi un po' di rum e mi lasciai andare, cercavo la vera me in fondo a dei drink: che cosa squallida e banale. Forse ero semplicemente un'alcolizzata che aveva appreso male l'esistenza della vita, oppure una bambina che cercava di sfuggire dal suo passato. Quante ipotesi interessanti, ma non a tutto si trova risposta; come quando da bambina chiedevo hai miei genitori perché non mi portavano con loro. La loro risposta era perennemente la stessa: "sei troppo piccola amore, quando sarai più grande", e poi il solito rito si concludeva con un bacio sulla fronte.
Mi sentivo un po' smarrita a tal punto che non riuscivo ad essere me stessa fino in fondo.

La morte con gli occhialiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora