Capitolo 9 - L'urlo

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Il silenzio avvolse la valle.

L'eco dell'urlo di Ymir si era spenta, inghiottita dal nulla, e risuonava soltanto nella testa di chi lo aveva visto precipitare.

Impietriti come erano, nessuno trovò il coraggio di dire qualcosa, né tantomeno di fare qualcosa.

Solo Leonard sembrava più lucido degli altri. Aveva nella mente tutti i fotogrammi che componevano l'istante in cui il ragazzo era scomparso nel precipizio.

Lui attaccato alla catena e quel terribile verso inumano vomitato dalla valle, forse nemmeno di questo mondo, e questo gli aveva fatto fare un passo falso. Lui che scivola e si ritrova a sbalzo sul burrone, attaccato alla sola cosa che può salvarlo: la catena.

Lo strattone secco che fa saltare un tassello e poi un altro e lui che precipita con un grido straziante.

Leonard però ne era convinto: Ymir la catena non l'aveva mai lasciata e ora, quella maledetta catena, era lì davanti a loro, tesa, con la parte finale che scompariva tra i rovi sospesi nel vuoto.

Leonard, con le gambe che tremavano, riuscì a fare alcuni passi. Si avvicinò con prudenza a quella catena penzolante che lanciava diversi moniti, nessuno dei quali era incoraggiante. Invocò quel Dio nel quale credeva molto di rado, quando giustificare gli eventi in modo razionale significava andare oltre la razionalità, "Ti prego... non può essere come sembra, fai che non lo sia."

Stava rischiando anche lui, ma a questo non pensava. Arrivò nel punto dove la catena penzolava nel vuoto. Deglutì e l'afferrò. Gli si raggelò il sangue; quel pezzo di metallo gelido non era teso: la catena non reggeva nulla.

Agì d'istinto e cominciò a scendere, aggrappato alla catena. La parete era quasi verticale, in poco tempo arrivò ai cespugli. Con le mani spostò rovi acuminati che lo ferirono, senza che nemmeno se accorgesse.

Vide di nuovo la catena, persa fra le spine dei rovi. Li scostò, incurante dei graffi che si infliggeva. La catena penzolava nel vuoto e lui fu colto da un senso di impotenza mista a rabbia, ma durò solo pochi secondi.

Non distante c'era Ymir, adagiato su un minuscolo lastrone di roccia. Una gamba a sbalzo nel precipizio, l'altra raccolta sotto il corpo.

Leonard capì subito che il ragazzo era vivo e cosciente. In apparenza non sembrava nemmeno avere delle ferite, non evidenti perlomeno.

Era precipitato per quasi cinque metri. Molto probabilmente senza mai lasciare la presa della catena, mentre questa faceva saltare i due tasselli; il terzo tassello era riuscito però a bloccarne la caduta; rovinando su quella specie di pianerottolo naturale.

Nel sentire una mano, che gli si posava sulla spalla, Leonard trasalì.

Era Leyla, subito seguita da Wil, "Ymir! Sei vivo!"

"Lo è, e cercate di rimanerlo anche voi, qui è molto pericoloso."

"Non possiamo lasciarlo lì e da solo non puoi portarlo su."

La ragazza non aveva tutti i torti, pensò Leonard, "Ok, l'importante è che sia vivo, ora vediamo come riportarlo su."

"Ymir, come stai?"

Il ragazzo non rispose, con uno sguardo assente fissava un punto lontano nel vuoto.

"Deve essere sotto shock, ma non vedo ferite."

"Cosa facciamo Leonard? Dobbiamo chiamare qualcuno!"

"Sarebbe saggio, ma qua non c'è campo."

"Allora?"

"Vediamo se la situazione è gestibile, non vorrei che potesse peggiorare. Dobbiamo raggiungerlo, poi decideremo... qualcuno dovrà tornare e cercare aiuto."

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