Capitolo 21 - Malvagità dal passato

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57 anni prima

Non riusciva a trovare la maniglia della porta. Non poteva trovarla: una mano reggeva un fiasco, l'altra cercava appoggi per riuscire a farlo stare in piedi. Il bottiglione era quelli di vetro avvolti dalla paglia, apposta per il vino.

L'uomo si staccò dalla parete e riuscì ad afferrare il catenaccio della porta per poi strattonarlo.

Un corridoio gli si aprì davanti. Barcollando entrò nel primo locale sulla destra, quello adibito a cucinotto.

Il pavimento era composto da un vecchio assito malmesso e una tenue luce illuminava il povero e malridotto mobilio. Un misero tavolo di legno era apparecchiato con una fondina, delle posate, un tozzo di pane e un bicchiere, accanto a una caraffa di acqua.

Osservò disgustato quello che aveva davanti e portò alla bocca il bottiglione, ma senza che ne uscisse qualcosa.

"Porco mondo", lo lanciò contro il muro. Il rumore dei vetri infranti risuonò tra quelle pareti anguste e la fiasca finì a terra afflosciandosi, con i vetri rotti raccolti all'interno della paglia.

Guardò il piatto di minestra fredda e gli diede un colpo secco. Finì in terra con posate e bicchiere, rovesciando il contenuto sul pavimento. Non andò in frantumi, ma si crepò.

I suoi occhi erano fissi a terra. Forse i suoi pensieri furono per la scodella vuota o forse per il fiasco in frantumi, ma quando cominciò a vomitare sul pavimento tutto questo perse d'importanza.

Rialzato lo sguardo si pulì con una manica la bocca e uscì dal cucinotto.

La sua camminata ora pareva meno instabile.

Passò davanti a un locale che ignorò. All'interno, sdraiato su una branda con un materasso di stoppie, un ragazzo aprì gli occhi. Aveva poco più di tredici anni.

In un altro locale una donna era coricata in un vecchio letto matrimoniale. Rivolta contro la parete aveva gli occhi sbarrati, sapeva benissimo cosa l'attendeva.

L'uomo si sfilò la cinghia dai pantaloni e se li tolse. "La minestra era fredda e hai lasciata accesa la luce!... lo sai quanto costa la corrente?"

Diede una sferzata con la cinghia verso il letto; la striscia di cuoio, indurito dal tempo, venne attutita dalla coperta consunta che copriva la donna.

Sul volto di lei comparvero delle lacrime, e non erano per il dolore fisico.

Lui strappò via le coltri, le mise le mani addosso e le alzò la pesante sottoveste.

Poi si buttò sopra quel corpo inerme.

Lei non emise alcun gemito, rimase impassibile, per tutto il tempo. Cercava solo di non sentire quell'odore di vino rancido che emanava quell'essere che la stava violentando.

Dopo essere venuto parve calmarsi, ma era solo sfinito.

Prima di spostarsi colpì la donna con la mano aperta, una mano callosa, grossa e dura come un badile.

Un rivolo di sangue le fuoriuscì dalle labbra, ma lei continuò a stare nel suo silenzio.

L'altro si alzò, raccolse la cinghia in terra e si rivolse di nuovo alla donna.

"Girati! E mettiti bene in mostra!"

La donna sapeva cosa doveva fare, si mise carponi.

"Tira su il culo! Ti devo insegnare come va servito il marito, quando torna a casa!"

Lei inarcò di poco il sedere.

Con un ghigno di piacere sferzò un colpo con la cinghia verso quella carne pallida, esposta alle sue perversioni.

Questa volta la donna non poté fare a meno di urlare.

Lui stava per caricare un nuovo colpo quando una voce lo bloccò.

"Perché non la usi su di me?"

Alle sue spalle era comparso il ragazzo.

Il padre, ancora senza pantaloni, rimase inebetito. Qualsiasi cosa avesse detto era un uomo nudo davanti al figlio. Fu questo che lo mise in difficoltà, non tanto il fatto che stesse infierendo sulla moglie, cosa per lui quasi naturale.

Raccolse le braghe e se le tirò su, infilandoci dentro il camicione, per non perderle di nuovo. Non aveva mai lasciato la cinghia e la picchiettava sul palmo di una mano. Quei rumori, pur lievi, rimbombavano come fossero nuove scudisciate.

"Che cosa hai detto?"

Il ragazzo non rispose, ma dal suo sguardo non trapelava alcuna paura.

Solo allora la donna si alzò di scatto e si frappose fra i due, "Lascialo stare!", urlò.

Il marito la colpì e lei finì a terra.

Si avventò poi sul ragazzo e gli sferrò un pugno che lo fece barcollare.

La donna in ginocchio urlava all'uomo di fermarsi, ma questi pareva in preda a un raptus.

Si lanciò di nuovo sul ragazzo. Non riuscì ad afferrarlo solo perché la donna si era aggrappata alle sue gambe.

"Lasciami, maledetta! Quel bastardo ha bisogno di una lezione, deve capire come stare al mondo!"

La donna non riuscì più a trattenerlo, tanto che fu subito addosso al ragazzo. Gli mise le mani al collo e cominciò a stringere.

La moglie urlava disperata, il figlio, ormai paonazzo, cercava di divincolarsi. Non riusciva a togliere quella morsa che gli si era stretta attorno e gli bloccava il respiro. Sapeva che il padre, questa volta, non si sarebbe fermato.

Con tutte le sue forze, il ragazzo diede un calcio nell'unico posto in cui poteva: in mezzo alle gambe dell'uomo, dove prese in pieno i testicoli.

Le grosse mani allentarono di colpo la presa e l'omaccione si incurvò in avanti, ora era lui che non riusciva più a respirare.

La madre si lanciò sul figlio e lo prese fra le sue braccia.

Rimasero stretti tra loro, mentre l'altro tossiva e imprecava, ancora in preda a dolori lancinanti.

Il ragazzo guardò la donna, "Me ne vado, ma', non mi vedrete mai più."

La madre non trovò le parole per rispondere, forse non si era ancora resa conto del significato di quella frase.

In quel momento stava sorgendo l'alba. Quando la donna vide il ragazzo scomparire tra la foschia, le fu chiaro che non l'avrebbe mai più rivisto, e fu solo allora che si lasciò andare in un pianto disperato.

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