Capitolo 13 - Prigioniera

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"Bevi."

L'uomo le avvicinò una tazza al viso.

Ann uscì dal torpore che l'avvolgeva. Non capiva dove fosse, ma aveva sete. In gola aveva l'inferno e la testa le scoppiava. Afferrò con entrambe le mani quell'oggetto e lo portò alla bocca, con tale foga, da farne traboccare buona parte del contenuto.

Non beveva da troppo tempo e deglutiva come se quell'acqua la dovesse respirare, con le mani unite, legate tra loro con un laccio di cuoio.

L'acqua le andò di traverso e cominciò a tossire. La tazza cadde in terra distribuendo il liquido sul pavimento, dopo essere rimbalzata più volte.

Il contenitore di plastica che sbatteva sulle piastrelle suonò in modo sinistro, fino a quando si fermò contro un grosso stivale.

Lui raccolse la tazza con un grugnito, "Potresti non averne un'altra... per un bel po'."

Il suo sguardo, con i capillari arrossati che gli invadevano i bulbi oculari, si era piantato negli occhi azzurro chiaro di Ann-Kristine. La ragazza era in preda al terrore, ogni suo organo ne era contaminato, ogni tratto di pelle, ogni respiro che faceva.

Stava seduta su un letto, semicoperto da un lenzuolo, i piedi in terra. Su una caviglia era fissato un anello di metallo e da questo partiva una catena che dopo tre metri andava ad agganciarsi a una parete.

"Perché mi fai questo?" tremava e aveva parlato in svedese. Lo guardò e ripeté la frase urlando in inglese.

Lui si avvicinò con passi pesanti. Il ghigno sulla sua faccia era la sola risposta a quelle domande.

Ann continuò a urlare.

La prese e la spianò sulla branda, finendogli sopra a cavalcioni. Una mano sulla bocca pose fine a quelle urla che stavano chiedendo aiuto o perlomeno pietà.

Sulla mano libera dell'uomo comparve un nastro telato americano che incollò sulla sua bocca. Prima che facesse questo lei era riuscita a liberare un ultimo urlo, poi furono solo gemiti.

Quelle rozze mani avevano fatto diversi giri di nastro dietro la nuca, mentre la ragazza cercava di divincolarsi invano, immobilizzata com'era da quella mole sopra di lei.

La vista del coltello da caccia, con una lama di quindici centimetri, affilata come un rasoio, pose fine a quei lamenti.

Ann si zittì, solo i suoi occhi sbarrati sembrava urlassero ancora.

"Brava, così, non devi parlare, tanto non capisco le tue lingue", lui fece passare il filo della lama su una guancia di Ann. Lei si girò di scatto e chiuse gli occhi.

"E soprattutto non devi urlare, anche se quella... è una lingua che conosco... molto bene."

Quell'essere era ancora a cavalcioni su di lei e la sua mano stava salendo verso le sue parti intime. La sentiva scorrere sulla coscia, sembrava qualcosa di abrasivo.

Cercò di non guardarlo in volto, di non guardare quegli occhi iniettati di sangue, ma non ci riuscì. E fu lì che vide qualcosa di strano. Nel momento in cui il suo sguardo si scontrò con quello dell'essere, le parve di vedere qualcosa di diverso.

Un taglio netto della lama tranciò il laccio di cuoio, liberandole le mani. Ann le portò subito al volto. I suoi singhiozzi erano nitidi, anche se ovattati dal nastro adesivo. Rimase così, per diverso tempo girata su un fianco, le mani sulla faccia, come se potesse servire per sfuggire da questa assurdità.

Non sentiva più alcun rumore e le sue mani erano ormai scivolate dal volto. L'uomo se n'era andato e lei era rimasta sola in quella specie di antro.

Non sapeva più a cosa pensare, ma di un fatto era certa: il suo carceriere sarebbe ricomparso, prima o poi.

B&B - BAD BREATHDove le storie prendono vita. Scoprilo ora