Capitolo 5 RAYLAI

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I miei occhi stanno fissando un punto definito di colore rosso.

«Cucciola, stringi i gomiti.»

Lo faccio e sospiro cercando di concentrarmi sul bersaglio, ma oggi sto facendo fatica. Ricontrollo la mia posizione.

La mia presa è rigida e forte? Il dito è fuori dal ponticello? Il pollice è lontano dal carrello?

«Se tieni la pistola in quel modo ti arriverà in faccia.»

«Papà! Non ho mica la tua forza.» ribatto.

Mi sorride con le mani sui fianchi. «La forza non c'entra niente.» risponde prendendo un'altra delle sue pistole, in tre secondi inserisce le munizioni e si avvicina fino a fermarsi di fianco a me. «L'impugnatura a cui sei abituata è adatta per il tiro al bersaglio perché non occorrono velocità e nemmeno estrema sicurezza.»

Impugna l'arma e le sue mani si muovono in automatico, ricordandomi tutte le volte che mio padre ha sparato nella sua vita. Osservo la nuova posizione che sta cercando di insegnarmi, ormai me l'ha fatta vedere almeno dieci volte e l'unico mio sbaglio è l'impugnatura. Non mi entra in testa!

«L'impugnatura che ti sto insegnando ora è adatta per la difesa personale perché è molto forte ed estremamente sicura.»

Spara un colpo centrando il bersaglio.

«Ma non basta saper sparare? Se io la impugno così non sparerò lo stesso?» domando tornando alla posizione da tiro al bersaglio.

«Certo che spareresti lo stesso, ma impugnando l'arma in questo nuovo modo se un aggressore è molto vicino non riuscirà a strapparti l'arma mentre spari» facendomi rivedere l'impugnatura.

Come al solito mio padre ha sempre ragione.

Torno a prendere la pistola e lui mi si ferma dietro aiutandomi con le mani, poi mi lascia fare da sola.

«Tienila forte!» esclama.

Provo a sparare un colpo ma il rinculo è così potente da farmi sbattere la schiena contro il suo petto. Lo vedo sorridere divertito ripetendomi di impugnarla con forza.

Ci riprovo stritolando la pistola tra le mani.

«Tieni i polsi dritti o ti farai male.»

Un altro sparo copre le urla di mia madre. Ci voltiamo verso di lei che ci comunica che la cena è pronta.

«Entra in casa, io metto via e arrivo a mangiare.»

Il telefono nella tasca mi vibra da mezz'ora, è la mia unica amica che mi manda dei messaggi. Essermi trasferita in questa città da quasi tre anni e avere una sola amica è già un buon risultato per me. L'unica amica che avevo prima di trasferirmi era la vicina di casa, più piccola di me di quattro anni ed era praticamente una bambina. Un giorno mio padre ci annunciò di voler cambiare vita e non voler più vedere le vittime che la guerra riesce a fare ogni giorno. Perché mio padre è passato dall'essere un militare a un chirurgo di guerra e non oso immaginare cos'abbiano visto i suoi occhi.

Ha mollato tutto e, sotto la felicità di mia madre, ha venduto casa comprando questo cottage fuori città. La sua scelta è stata quella di allontanarsi volontariamente dal cemento e godersi la famiglia, trovando questa bellissima città in mezzo ai boschi.

Per me è stato uno shock, ne avevo paura.

Il buio di questi boschi per me era inquietante fino a quando non è diventato parte di me. Ora mi sento a casa solo in mezzo agli alberi, in mezzo ai sentieri con l'odore di muschio e terra bagnata.

È stato mio padre a dirmi di non averne paura fino a convincermi che, la natura, è parte di noi. Averne paura è come avere paura di noi stessi. Mi ha cambiato completamente mentalità stare in questo posto. Tutto grazie a mio padre.

Fino a tre anni fa lo vedevo poco, i miei primi cinque anni di vita non me li ricordo al suo fianco, lo vedevo un paio di volte l'anno poi ha iniziato ad essere presente sempre più spesso, ma non era in lui. Me ne sono accorta quando ho iniziato a crescere. Mio padre non ce la faceva più a stare in guerra aspettando qualche sventurato a pezzi, pronto a farsi ricucire o morire sotto i suoi occhi.

Ha fatto un anno di pausa fino a prendere questa decisione.

«Dove vai?» mi chiede.

«Mi lavo le mani nel lago.»

Acconsente sorridendo. «Meglio dell'acqua del rubinetto.»

«Non vedo l'ora che arrivi giugno per farmi un bagno.»

Sì, perché prima l'acqua è gelida e anche dopo ottobre.

Tante persone colgono l'occasione e la sfida di farsi il bagno in questi mesi freddi, io non so come facciano. Mio padre è uno di quelli. Abbiamo la fortuna di avere un piccolo lago a trecento metri, ci divide un boschetto di pini, mio padre ha creato un piccolo sentiero per arrivarci e dopo... c'è la foresta, una meraviglia grande chilometri, che mi chiama ogni mattina prima di andare a scuola.

Percorro il sentiero mentre il cielo sta iniziando a scurirsi.

Ma non ho paura.

La terra sotto i miei piedi è secca perché non piove da almeno due settimane, le foglie hanno ricoperto il sentiero creato da mio padre ma non mi serve, conosco questo bosco a memoria. Mi sono inoltrata anche nella foresta per qualche chilometro con mio padre, siamo andati a funghi, a castagne, a guardare gli animali e gli uccelli.

Abbiamo fatto di questo posto la nostra casa, lentamente ho iniziato a odiare il cemento e ad amare la terra.

Appena arrivata al lago mi inginocchio immergendo le mani nel lago, l'acqua è fredda ma non gelida. Mi bagno anche il viso rinfrescandomi e faccio un lungo sospiro. L'odore dei pini mi entra nei polmoni, aprendomi i bronchi come una medicina.

Dei ringhi di piccoli animali notturni provengono dalla foresta. È ora di tornare a casa a fargli spazio. È anche la loro casa.

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