Capitolo 47 - Dorian

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Mi tiro il cappuccio della felpa sopra la testa mentre un caffè fumante mi aspetta. Ne bevo un sorso, Abner mi fissa senza dire una parola. Si guarda attorno per constatare che non ci sia nessuno che conosciamo e si siede al mio tavolo. Ordina anche lui un caffè e torna a posare lo sguardo su di me.

«Sei in ritardo.» lo sgrido.

«Ho dovuto aspettare che Raylai andasse via. Non esco mai così d'improvviso. Piuttosto, ieri sera sei impazzito o cosa? Non puoi chiamarmi così! Se vede la chiamata Raylai? Sai che il nostro rapporto, così com'è, deve rimanere segreto.»

«Cosa le è successo?» chiedo di getto.

Lui mi fissa poi impreca a bassa voce posandosi la tazza sulla bocca, butta giù il caffè e smette di guardarmi. «Te l'ho già detto, sarà lei a dirtelo quando si sentirà pronta.»

Eh no, cazzo. Non me la bevo più questa stronzata.

Mentre beve un altro sorso io insisto.

«C'entra per caso Matt?»

Si schiarisce la gola mentre il caffè gli va di traverso.

E capisco. All'istante.

Lui non mi risponde. Io insisto ancora.

«Allora?»

Continua a non rispondermi e io inizio a scaldarmi, perché se è davvero come la penso, sarò io a mandare Matt all'inferno.

«Cazzo. Cazzo!» impreco.

Mi trattengo nel dare un pugno al tavolo per la sua presenza.

«Dorian modera i termini!» mi sgrida. «Sta calmo!»

«Come cazzo faccio a stare calmo?! La persona che credevo un fratello ha cercato di far del male alla mia ragazza. Non...» posso fare finta di niente.

Sospiro perché il respiro inizia a mancarmi, l'ansia si fa strada nel mio petto e spinge così forte da non farmi respirare.

La mano di Abner si posa sul mio braccio e me lo stringe. Forte.

È calda. Possente. Paterna.

Ecco cosa riesce a calmarmi. La sicurezza di avere un punto di riferimento a cui aggrapparmi per non sentirmi più perso.

«Ragazzo, calmati. Fai lunghi respiri.»

«È fortunato ad essere già morto.» dico a bassa voce.

«Che vuoi dire?»

«Se fosse ancora vivo lo ucciderei, quel figlio di puttana.»

La stretta di Abner si allenta fino a farmi sentire la mancanza del suo conforto. «Cosa ti fa credere di riuscire ad uccidere?» mi chiede.

«Sarei dannato ma per una buona ragione.»

Rimane in silenzio per un tempo che sembra interminabile, mentre la mia testa torna ad ascoltare quella voce che metto a tacere da tempo.

«Dorian.» mi sveglia dai miei pensieri colpendomi sul braccio. «Non azzardarti a fare pensieri del genere. Uccidere non è facile come pensi e stiamo sempre parlando di un tuo amico.»

Le mie orecchie rigettano ogni sua parola.

«Forse aveva ragione.» continuo.

«Chi?».

«Il dottor Amos. Mi ha detto che devo tenere a freno la mia rabbia perché è pericolosa. Solo ora comprendo cosa intendeva.»

«Ti ha detto questo?»

«Aveva ragione. Lui ha sempre avuto ragione proprio come te.»

Mi prende la mano ferma sul tavolo e me la apre con forza, facendo scivolare la chiave. È gelida. Maledizione.

«Torna in te, per favore! Hai gli occhi così scuri da fare impressione, sembra che tu sia fatto di qualcosa. Così mi stai spaventando.»

Scoppio a ridere sfregandomi la faccia con la mano libera dalla chiave.

«Hai ragione. Ma c'è un problema... vedo Matt ogni giorno a scuola. Come posso stare calmo?»

«Puoi sfogarti con lui, questo sì. Quando si pentirà davvero e ti chiederà scusa allora... credo che se ne andrà per sempre.»

Sbuffo nascondendomi la chiave in tasca.

«Non so come comportarmi, ora.»

«Sì che lo sai. Incastra tuo padre, renditi libero.»

«Mio padre è pazzo. Se mi beccasse a profanare quel baule mi ucciderebbe.»

«Non devi aver paura di lui, ormai sei un uomo e puoi benissimo sovrastarlo. Posso insegnarti a farlo.»

Gli sorrido bevendo un sorso di caffè.

«Non lo toccherò. Io non sono lui.»

Acconsente in silenzio e finiano i nostri caffè. So per certo che mio padre è partito e starà via per due settimane, ho tutto il tempo per aprire quella cassa. Ma non è solo questo che mi preme, anche il segreto di Raylai mi sta facendo perdere il barlume della ragione.

Ho il tempo di chiedere a lei quello che le è successo.

Ho tutto il tempo per aprire quella cassa.

Ma non sono conosciuto per la mia pazienza.

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