Capitolo 1 DORIAN

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Non è la prima volta che apro gli occhi in un ospedale. Una fitta lancinante me li fa spalancare.

La luce sopra la testa mi acceca, mi copro il viso con la mano e sopraggiunge un'altra fitta. Abbasso il braccio e chiudo gli occhi scalciando le lenzuola. Ho caldo. Sto soffocando.

Un "tic" insistente alla mia sinistra e delle voci ovattate alla mia destra. Dei brividi mi scorrono sulle gambe rendendomi conto di avere indosso solo una tunica verde. Ho praticamente le palle al vento. Nel braccio destro ho una flebo e mi trattengo nel togliermela.

Ho i brividi ma sto sudando.

Mi guardo attorno mentre cerco di riprendere le coperte, mi copro la vita con esse e altre due fitte mi fanno gemere di dolore.

«Ricordi qualcosa?» mi sento chiedere.

Appena mi rendo conto da chi proviene quella voce il mio corpo si aggela ancora di più. Mio padre è seduto su una poltrona e mi fissa. Nel suo sguardo non leggo pena ma solo rancore.

Nessun senso di colpa.

«Dove sono?»

«Rispondi alla mia domanda.»

«No, io...non ricordo niente.»

Acconsente alzandosi. «Bene. Ti faranno delle domande come da copione e tu risponderai che sei caduto dalle scale.»

Non posso essere caduto dalle scale. Non sono così idiota.

«Ma non sono caduto dalle scale.»

«Come fai a saperlo se non ti ricordi?»

Stringo la coperta nella mano ed eccolo, il mio istinto parlare per me. «Lo so perché non ti credo.»

Alza le sopracciglia e digrigna i denti come un animale affamato. In due lente falcate è al fianco del mio letto. Appoggia la mano destra sul materasso e questo mi costringe a sdraiarmi di nuovo.

Ho la sua mano a fianco alla mia faccia mentre si avvicina al mio viso. «Allora posso parlare per te. Posso dire che hai visto una bambina camminare per casa e sei caduto per seguirla.»

Cerco di alzarmi ma il dolore al petto è pungente. «Non mettere in mezzo Gisele!»

Alza le sopracciglia allontanandosi dalla mia faccia, poi scoppia a ridere. «Tu sei fuori di testa! Le hai anche dato un nome?»

«Non puoi parlare per me e in ogni caso non ti crederebbero.»

«Sei psicopatico figliolo, ho sempre parlato per te.»

«Non sono psicopatico, tu lo sei.»

Inizia a muovere il piede ritmicamente a terra, segno che se fossimo stati a casa mi avrebbe già messo le mani addosso.

«Sulle carte c'è il tuo nome e non il mio, adesso chiudi la bocca e ascolta bene quello che ti sto per dire.»

Le sue ginocchia toccano il materasso. Mi sposto sul letto per allontanarmi il più possibile da lui e questo mi procura delle fitte alle costole e allo sterno.

«Io ti lascio sempre scegliere ed ora puoi decidere se guarire e tornare a casa o essere rinchiuso di nuovo. La mia parola vale più della tua, ricordatelo.»

Quel posto. Odio quell'inferno. Mi hanno tenuto per un anno in un edificio, rimpinzato di psicotici e neutralizzatori dell'umore. L'unica volta che respiravo aria pulita era quando mi davano accesso al giardino, per dieci minuti al giorno. È passato un anno ma è come se fossi uscito ieri. Non voglio tornare in quel posto.

Niente Paura #1 | Survivor Series 🔥Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora