capotitolo 15

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Non sarei mai riuscita a contare le volte in cui mi sono ritrovata, come stavo facendo, sul mio letto, a fissare fuori da una delle finestre della mia camera. Forse cento o forse un milione.
L'autunno orami era iniziato è una pioggia insistente e intensa continuava a scendere alle prime luci dell'alba.

La strada su cui si affacciava la mia camera sembrava essere diventata un fiume pieno di foglie caduti dagli alberi ormai quasi spogli per la nuova stagione.

Doveva essere il giorno perfetto per me, ma il destino volle il peggio è iniziare il primo giorno di università con un tempo del genere non prosperava mai nulla di buono.
Sperai solo che le strade non fossero bloccate a causa dell'allargamento e che non si creasse traffico. Odiavo fare ritardo, sopratutto se quest'ultima fosse importante.

Con un lieve sospiro, indossai un paio di jeans comodi scuri e una maglia bianca, afferrai i miei capelli in una crocchia ma sentii il telefono squillare.
Chi poteva mai essere alle sette del mattino?

Guardai lo schermo infastidita: era Alec.

«Ciao» dissi sedendomi a terra e prendendomi la testa fra le mani. Non avevo dormito molto quella notte. Le mie occhiaie e la mia faccia stanca parlava da sola.

«Piccola... come stai?» mi chiese. Alec sembrava essere diventato una persona bipolare: Si arrabbiava pesantemente quando non li rispondevo e mi rimproverava come se fosse mio padre, poi di punto in bianco dopo aver avuto una discussione faceva finta che tra noi non fosse successo niente?

Si reputava una persona matura, ma una persona che si considera tale, cerca di parlare e di capire dove abbia sbagliato no?

«Bene, tra poco vado in università, tu come stai?» mentii. In realtà stavo malissimo per la situazione che orami non mi permetteva di dormire la notte.

«L'ultimo anno è appena iniziato amore, devo mettercela tutta per poter passare gli esami di fine anno. Dovrò concentrarmi molto»

«Sono sicura che ce l'ha farai come sempre». Alec era un ragazzo studioso proprio come me. Si impegnava molto per essere il gioiello dei professori e il bersaglio dei nullafacenti purtroppo.

Quando avrebbe preso il diploma è passato un po' di esami all'università, avrebbe lavorato nell'azienda giornalistica del padre, assicurandoli già un lavoro perfetto per tutta la vita. Quel ragazzo aveva tutto quello che ogni essere umano potesse desiderare è un po' lo invidiavo.

«Per fortuna ho trovato un momento libero. Volevo sentirti, mi mancavi» sorrisi al suono dolce delle sue parole. Lo immaginai con le guance rosse mentre sceglieva nella sua stanza, la perfetta camicia e polo che avrebbe indossato per la mattinata. Il suo stile richiamava proprio il perfetto "figlio di papà" ma a me non importava. Mi era piaciuto proprio per questo.

Eravamo uguali in tutto. Il nostro stile di vita era lo stesso, e forse proprio per questo non riuscivamo a incastrarci alla perfezione, ma questo era soltanto un mio punto di vista dato che lui immaginava già il nostro matrimonio è un futuro con dei figli.

«Anch'io sono contenta di sentirti, ma ora devo andare. Mia madre mi aspetta per la colazione e sai com'è fatta» sbuffai una risata e lui ridacchiò.

«Va bene, ci sentiamo in serata. Ti amo!» disse. Feci un respiro profondo e chiusi gli occhi per non piangere.

Anche lui mi mancava tanto. Avrei voluto abbracciarlo ma perché sentivo che dentro di me c'era qualcosa che non andava quando ero con lui? O anche solo se ci parlavo? Lo amavo veramente come volevo credere o orami era diventata solo un abitudine la mia?

Non li avevo mai detto ti amo. Ero fortemente convinta che l'amore fosse un mondo apparte, l'amore te lo senti dritto nel cuore, era un qualcosa di prezioso da poter donare soltanto all'uomo giusto che ti avrebbe catturato il cuore, ma lui non l'aveva catturato il mio.

Life in your handsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora