capitolo 16

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«Succhiami il cazzo come una fottuta troia!»

Guardai schifata e imperterrita la scena dinanzi a me. Come poteva un ragazzo parlare così ad una ragazza? Dove era finita l'umanità in quel ragazzo?

Jenna scosse il capo ormai rassegnata mentre le servivo un cocktail accompagnato con delle olive nere.

Gli amici della mia amica invece, ridevano come pazzi stringendosi la pancia mentre osservavano come Naomi veniva umiliata da Blake.

Travis non c'era quella sera, si era preso un gran bel raffreddore nonostante li avessi detto più volte di coprirsi la sera, ma lui aveva fatto di testa sua come al solito.

Erano passate un po' di settimane dall'inizio dell'università e la retta universitaria non tardò di certo ad arrivare, così mi ero messa alla ricerca in città, per un lavoro part-time come cameriera o qualsiasi altra cosa che non mi togliesse tutto il tempo della giornata.

Il pomeriggio avrei voluto dedicarlo allo studio e nient'altro, poi la sera sarei venuta qui. Mia madre e Tony non erano affatto d'accordo con la mia scelta di iniziare un lavoretto dopo la scuola, ma ero una persona responsabile che non elemosinava i soldi al compagno della proprio madre. Odiavo certe cose e avrei voluto essere indipendente.

Così, mi ritrovai in quel pub, vestita da perfetta cameriera sexy che doveva indulgere gli uomini a venire più spesso. Per poco non avrei vomitato per certi pensieri che si potessero fare su di me.

A differenza di quelle persone, io ero molto più piccola e tutti potevano essere miei nonni o papà, come facevano a guardare una ragazzina in quel modo?

Non era un locale poco raccomandato a dire la verità. Li entravano persone strane e di tutte le età. Una musica alta e rock suonava fra le sue mura e alcune cameriere mostravano adirittura il loro seno con noncuranza.

Non mi sentivo affatto a mio agio e quando il mio titolare mi mostrò la divisa da lavoro sbiancai: Una gonna attillata nera e una canotta bianca che lasciava scoperto gran parte del decoltè. Per fortuna non avevo il seno molto grande rispetto alle mie colleghe, ma mi sentivo ugualmente a disagio.

Era il locale più vicino che ci fosse nei dintorni di casa mia. Non avevo una macchina ma solo un monopattino elettrico che mi aiutava ad arrivare in fretta a casa data l'ora tarda. Neanche dieci minuti ed ero già nella strada della villa Anderson.

«Hey Bella, mi senti?» la voce spigolosa e sprizzante di Jenna mi ridestò dai miei stessi pensieri. Mi ero fermata a guardare abbindolata quei due scemi che si scambiavano saliva come delle sanguisughe.
Come potevano spingersi così tanto in un luogo pubblico?

«Ehm si...» risposi velocemente abbassando lo sguardo per sbrigare il più velocemente possibile nel lavare i bicchieri di vetro. Servii velocemente un cicchetto di vodka ad un signore sulla cinquantina che mi guardava con sguardo malizioso ma lo ignorai.
Lavoravo da poco lì e per fortuna avevo capito che l'arma migliore per quei depravati era l'indifferenza.

«Raggiungo gli altri. Non combinare guai» Jenna mi puntò un dito contro ridacchiando. Cosa avrei potuto combinare?

«Isabella, servi il tavolo dodici. Subito!» mi disse il mio titolare agitato e quasi come se fosse andando in preda al panico.

«D'accordo Bill» dissi finendo di sparecchiare il bancone e passandoci una pezza per pulirlo ma quando alzai gli occhi verso il tavolo numero dodici, credevo che sarei svenuta da un momento all'altro.

Perché proprio io? Dio per caso c'è l'aveva con me per farmi una cosa così orribile?

Avanzai con le gambe che tremavano e il respiro irregolare. Se non mi sentivo a mio agio prima, adesso non lo sarei stata ancora di più.

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