capitolo 18

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E la malattia se lo portò via
e senti un acuto dolore.
Pianse i suoi timor e pensò in cuor suo
che non si è mai pronti per dire addio
a qualcuno che ami che quel dolore
l'avrebbe accompagnato per sempre
perché da un certo punto in poi
si finisce irrimediabilmente
per portarsi dentro
le persone che non si possono
più avere a fianco e che avrebbe detto "addio"
ogni giorno, ma mai
ci avrebbe creduto davvero.

Dopo la morte di mio fratello, mi ero ammalata anch'io. All'inizio non avevo le forze neanche di alzarmi dal letto per andare in bagno o mangiare.
Avevo perso talmente tanti chili che il mio copro sembrava essere diventato uno scheletro. Asciutto e privo di energie. Stavo per finire nel tunnel buio e precipitoso dell'anoressia.

Dormivo intere ore che il materasso del mio vecchio letto sembrava essere diventato tutto quello che avrei voluto nella mia vita. La mia, la nostra stanza era sempre buia, le tapparelle erano abbassate per negare la luce del sole che mi dava continuamente fastidio. C'erano bottiglie sparse dappertutto e puzza di chiuso. Così mi avevano diagnosticato la Distimia, una variazione cronica della depressione con sintomi più lievi ma prolungata nel tempo.

Prendevo farmaci per l'umore è odiavo dipendere da esse. Man mano che il tempo passava per fortuna le pillole diminuirono e grazie all'amore di mia madre, di Alec e delle mie due amiche, la depressione lentamente svanì nel tempo. Ma quel periodo, quella malattia mi segnava ancora nel profondo del cuore e mi portavo quei giorni di buio ancora con me.

Non stavo bene, però qualcosa era migliorato nel tempo seppur lentamente. Avevo ripreso i chili che avevo perso e i miei occhi erano ancora spenti ma ogni tanto vedevo una scintilla riaccendersi e spegnersi velocemente come un battito di ali.

Ah, se non fosse che mi sono sentita abbandonata così tante volte che ci sono pezzi di me sparsi tra il cielo è il mare. Se non fosse che tutto quello che mi è successo mi aveva convinta che c'è una parte di me inspiegabile che cercava solo normalità e pace ma che tardava ad arrivare.

Sorrisi tristemente mentre una lacrima solitaria scendeva lungo la mia guancia rossa strofinata troppe volte quella notte e accarezzai con i palmi delle dita la foto che ritraeva me e mio fratello due anni fa. Era nel pieno della sua malattia, i suoi capelli non c'erano più e nonostante il suo viso era diventato asciutto e pallido, i suoi occhi azzurri luccicavano ancora sperando di vincere contro la vita.

Andrà meglio.
Devi crederci davvero,
e so che è difficile farlo,
che sembra che le cose restino sempre le stesse,
ma tutta questa tempesta passerà,
tornerai a vedere il sole,
riuscirai a rialzarti anche tu e ritorneremo felici insieme, mano nella mano.

Li dicevo sempre quando le forze abbandonavano il ciò corpo già morente. Li stringevo forte la mano per paura di perderlo e piangevo come una bambina quando veniva attaccato al macchinario del respiratore.

Mi dicevano che con il tempo le cose sarebbero migliorate, ma più passavano i giorni, i mesi, è più sentivo la sua mancanza. Non ero ancora riuscita ad andare avanti nonostante fossero passati quasi due anni dalla sua morte, ma non ero caduta nel baratro totale anche quando sotto i piedi non avevo più nulla, nel cuore c'era solo freddo e non sapevo dove cercare calore se non ritornare nelle sue braccia calde che definivo casa.

Accompagnai Alec nella sua stanza degli ospiti, mia madre, nonostante lo adorasse più di me quasi, ci aveva severamente proibito di dormire assieme fin quando non ci saremmo sposati. A me veniva da ridere solo al pensiero perché sapevo che con Alec non avrei mai avuto un finale del genere per colpa mia.

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