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Brett

Ho atteso questo momento a lungo.

Sapevo che prima o poi la psicologa avrebbe fatto un passo falso, avrei dovuto solo attendere la sua caduta come il migliore degli spettatori. È durata tre mesi, dovrei complimentarmi con lei per la forza interiore che ha avuto nel non cedere ma, poiché al momento sono troppo impegnato a capire dove si trovi, direi di rimandare il momento. Glenn ha detto di non sapere in quale città soggiorni perché i suoi genitori le hanno chiesto solo futilità durante la chiamata.

Ci credo poco.

Nessun genitore parlerebbe di futilità in casi del genere. Credo che Jackie sia stata più furba del previsto, avrà sicuramente detto ai suoi di non rivelare niente al suo fratellino, d'altronde sa che io lo uso come se fosse una pallina anti-stress. A proposito del fratello, quest'ultimo mi sarà di grande aiuto d'ora in poi. Ho aspettato il fine settimana come un ossesso, tra dipinti su commissione e mostre ho dovuto escogitare un piano infallibile. Rivestire i panni del caro Ben mi potrà tornare utile, soprattutto ora che Jackie si è pestata la coda da sola. Non ha rivelato dove si trovasse, non so il luogo preciso ma per scoprirlo posso usare un vecchio trucchetto che non passa mai di moda. Mi rigiro tra le dita la cimice minuscola, curvando le labbra in un ghigno compiaciuto. Apro la portiera dell'auto, nascondendo la cimice nella tasca dei jeans per poi salire il gradino del marciapiede.

Oggi è venerdì, ho promesso al caro Glenn una birra e, al contrario del solito, stavolta ho deciso di fare un salto a casa dei suoi. Il caro Ben sentiva la nostalgia di casa Hole, o almeno è questa la scusa che userò a breve. Suono al portone, stampandomi sulle labbra una delle mie espressioni più naturali possibili. Ad aprirmi è la madre di Glenn, Rebecca. La donna è bassina, minuta dai boccoli biondi e gli occhi verde chiaro. Sbatte le ciglia quando mi vede, sorridendo subito dopo. «Ben, non credevo fossi tornato a Jacksonville» mi saluta, lasciandomi un bacio sulla guancia come saluto.

«Spesso torno nel fine settimana, ho nostalgia» mento.

Sorride, facendomi segno di entrare in corridoio. «Glenn è andato un attimo in bagno, ma se vuoi puoi aspettarlo nel salotto.» La ringrazio, guardandomi intorno in cerca di un posto in cui lasciare la cimice. Il salotto è poco visitato, credo che il loro punto di ritrovo sia soprattutto la cucina. Do un'occhiata alle varie foto incorniciate sopra il camino, scorgendone una di Jackie. La prendo tra le dita, osservando lo scenario. Si trova sicuramente in montagna, nella foto avrà avuto dodici anni. Sorride all'obiettivo, se ne sta chinata sulle ginocchia mentre tiene tra le dita un grappolo d'uva. Indossa un vestito bianco, candido in tema con il suo animo puro. Mi attraversa uno strano senso di pace a osservare questa immagine. «E tu chi sei?» una voce femminile mi fa alzare il capo, ma non voltare. Poso la foto incorniciata, stampandomi sulle labbra un sorriso di circostanza.

«Sono Ben, un amico di Glenn» mi presento.

Sotto l'arco del salotto trovo una ragazzina bionda.

Ricordo che Jackie ha una sorella minore, deve essere lei. Lunghi capelli chiari, occhi smeraldo e sguardo dubbioso – l'opposto di sua sorella maggiore. Scorgo subito le differenze, anche a livello caratteriale. Jackie ha sempre un'espressione determinata in volto, è caparbia e preferisce di gran lunga la ragione al cuore. La ragazza che mi sta di fronte però, ha tutta l'aria di essere dispettosa e frustrante. Mi osserva con occhi assottigliati, non cede al sorriso finto che mi sto sforzando di mantenere.

«Hai un'aria familiare» mi studia, circospetta.

Dei passi nel corridoio attirano la mia attenzione, Glenn scende le scale e mi fa un cenno. «Sei in anticipo» dice.

«Sì, avevo finito delle commissioni e avevo pensato di passare prima» lo informo, avvicinandomi di qualche passo. Sierra, se non mi sbaglio è questo il suo nome, alza di poco il capo quando la supero, continua a squadrarmi con occhi assottigliati. «Vuoi qualcosa da bere?» domanda Glenn, ricordandomi il motivo per cui sono qui. Annuisco, chiedendo solo un bicchiere d'acqua. Con questa scusa, entro in cucina e passo in rassegna dei punti in cui potrei mettere la cimice. Sotto la penisola è evidente, sul bancone è da escludere a priori. Mentre Glenn apre il frigo, mi avvicino alla finestra di fronte al tavolo. Infilo le mani dentro le tasche dei jeans e, dopo aver gettato un'occhiata al biondino girato di spalle, infilo la cimice sotto il tavolo. Glenn si volta dopo pochi secondi, ammiccando al bicchiere d'acqua che ha riempito. «Grazie amico» sorrido, avvicinandomi per bere qualche sorso e continuare la copertura. Con la coda dell'occhio mi accorgo dell'assenza di Sierra e dei suoi genitori.

Scommetto che la madre di Glenn sappia qualcosa in più su Jackie, ma che per qualche strano motivo abbia preferito non coinvolgere del tutto Glenn. Mi domando cosa gli abbia detto la psicologa, sanno di me? Hanno capito che in realtà il caro Ben non esiste affatto ma che questa è tutta finzione?

Non credo.

Passo quasi tutto il pomeriggio in compagnia di Glenn. Tra una birra e un'altra riporta a galla alcuni errori di sua sorella. «Jackie è sempre stata una mina vagante, anche al liceo: causava un mucchio di problemi a mia madre e mio padre» rivela. «Tornava a casa tardi, una volta l'abbiamo trovata stesa sul pavimento con gli occhi arrossati e sotto effetto di qualche strana pasticca: disse che qualcuno le aveva sporcato il bicchiere ma, nessuno di noi le credette.» Sapevo che Jackie fosse autodistruttiva, ma sentire qualche vecchio episodio della sua adolescenza mi fa comunque gongolare. Glenn racconta dei vari episodi con la mente altrove, si vede che nonostante l'arrabbiatura sia ancora preoccupato per la sorella. «È scappata perché un uomo le dava la caccia, ma mi domando se sia vero» dubita. Che illuso, non sa di avere il colpevole al proprio fianco. Mi scolo lo shottino di whiskey, accennando al barista di farmene un altro. «Sai, credo che dovresti avere più fiducia in tua sorella» mi sento di dire. Probabilmente dovrei farmi i cazzi miei, d'altronde appena la troverò la ucciderò con le mie stesse mani. «Tu e Sierra dovreste smetterla di trattarla come se fosse la causa di tutti i vostri problemi» mi schiarisco il tono, lasciando che sia il mio istinto a parlare.

Glenn corruga la fronte, voltandosi verso di me.

«Non ho mai detto che Jackie sia la causa dei miei problemi» scuote il capo, puntandomi addosso le sue iridi verdi. Magari pensa di non averlo detto, ma anche solo a gesti e a parole si sente nell'aria una sorta di gelosia repressa. «Hai appena elencato tutti gli errori che tua sorella ha fatto, menzionando come i tuoi genitori le siano stati sempre appresso» lo indico, arricciando le labbra.

«Non ho mica detto una bugia» fa spallucce.

Mi guardo intorno per il locale, diversi clienti fanno baccano ai loro tavoli e alcune cameriere sembrano esauste dal turno pomeridiano. «No, non hai detto una bugia ma cerchi una scusa per alimentare la tua rabbia nei suoi confronti» affermo, alzando il bicchierino di whiskey in direzione del banconista. Credo che le mie parole risveglino Glenn, scuote il capo e sembra davvero irritato dalle mie supposizioni. Guarda l'orario sul suo telefono, per poi gettare un'occhiata alla porta d'uscita. «Temo che tu abbia bevuto troppo, forse è meglio ritornare a casa.»

Tenta di scappare dalla realtà.

Annuisco, solo per non sentirlo parlare più del dovuto. Mi scolo l'ultimo shottino, alzandomi dallo sgabello per poi tirare fuori il portafoglio dalla tasca. Ammetto che tutto questo bere mi ha stordito, ho perso il conto degli shottini che ho bevuto.

«Ce la fai a ritornare?» chiede, studiandomi.

«Ti sembro forse un pivello?» lo beffeggio, prima di aprire la porta d'uscita con lui a seguito.

«No, ma un coglione sì» replica austero.

«Fanculo.»

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