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Jackie

«Tra cinque minuti avremo l'esito del test» esordisco. Non riesco a smettere di tremare, la mia mente è ormai piena di immagini di me con in braccio un neonato dagli occhi azzurri e i capelli scuri, non so neanche perché dovrebbe assomigliare solo a Beltran. Scuoto il capo, mordendomi il labbro inferiore per poi gettare occhiatine all'uomo silenzioso e immobile. Quest'ultimo se ne sta appoggiato al muro, di fianco alla finestra e ha un'aria distratta oltre che lontana anni luce da me. «Se fosse positivo?» domanda d'improvviso, attirando la mia attenzione. «Se l'esito fosse positivo ti dispiacerebbe?» chiede, assottigliando gli occhi. Schiudo le labbra, rendendomi conto che non ho neanche una risposta. Ero rimasta incinta al liceo, ma la situazione era nettamente diversa. Neanche all'epoca ero pronta ad avere un bambino, ma nonostante la paura avevo deciso di tenerlo e, a lungo andare, l'idea incominciava a piacermi. In seguito alla mia caduta dalle scale mi ero ripromessa di non scherzare più con il fuoco, dunque non ho più pensato alla possibilità di avere un figlio ma, ora, potrebbe sta per succedere di nuovo.

«Non lo so, so solo che ho tanta paura» soffio.

Beltran si stacca dal muro, mi raggiunge e si china sulle ginocchia per guardarmi in viso. «Non è una passeggiata neanche per me, se questo ti consola» rivela con un sorriso guardandomi con ammirazione, come se fossi preziosa.

«No, non mi consola» ridacchio nervosa per poi scuotere il capo. «Conviviamo da solo un mese, siamo riusciti a trovare il nostro equilibrio e... avere un bambino adesso potrebbe sconvolgere le nostre vite» asserisco. «Insomma, non riesco neanche a vedermi come madre...»

«Neanche io riesco a vedermi come padre, nemmeno prendevo in considerazione l'idea fino a pochi istanti fa» afferma, infondendomi coraggio. «Tuttavia, mentre andavo a comprare il test sono riuscito a immaginare qualcosa.» Il suo sguardo diventa nostalgico, intenso e sono quasi costretta a distogliere gli occhi. «Riuscivo a vederci; c'eri tu di spalle con in braccio una bambina dai riccioli biondi e un sorriso a trecento denti. Il sollievo che ho provato è stato immediato» conferma, riuscendo ad ammorbidirmi. Sapere che almeno uno dei due è positivo mi rincuora. Beltran sta reagendo meglio di quanto mi aspettassi, è davvero un uomo incredibile. Sento gli occhi divenire umidi, il suo discorso mi ha uccisa per quanto semplice sia stato. Il timer del telefono mi ricorda che sono passati cinque minuti, dunque prendo un respiro profondo e mi alzo dal letto. «Deve essere pronto l'esito» respiro veloce. Cammino fino al bagno con lui alle spalle, pronto a infondermi coraggio. Il test è sul mobile del lavandino, proprio davanti a me e io non riesco a vedere le tacche da qui. Deglutisco, sentendo l'ansia montare dentro di me con furia. Sospiro, voltandomi verso Beltran – fa un cenno per spronarmi. Annuisco, allungando la mano verso il test per poi girarlo in mia direzione. Appena leggo il risultato non mi sento felice, neanche triste, resto in apnea.

«Cosa dice?» domanda Beltran con voce speranzosa.

Deglutisco, alzando il capo per guardare la sua reazione. «Non sono incinta.» Resta impassibile, forse in fondo desiderava davvero quel bambino, più di quanto credesse. Credevo mi sarei sentita sollevata alla possibilità di un esito negativo, invece non sento niente.

«Non-non capisco, avrei dovuto avere il ciclo...» dico.

«Magari ritarda solo di qualche giorno» fa spallucce, ma lo sento distante. Sospiro, mentre lui scuote il capo ed esce dal bagno per schiarirsi le idee probabilmente. Ormai davo per scontata la possibilità che fossi incinta, non pensavo minimamente che il test potesse risultare negativo. Getto il test nel cestino, uscendo dal bagno per raggiungere Beltran. Marvin mi segue lungo il corridoio con coda scodinzolante e io gli do qualche carezza sul capo a ogni passo. Apro il portone di casa, trovando Beltran con le mani appoggiate alla ringhiera del portico. «Stai bene?» Non dice nulla, guarda solo dritto. «Non me lo aspettavo.» «Temo di aver viaggiato troppo con la fantasia, tutto qua.» «Volevo solo dirti che io sono comunque aperta alla possibilità...» mi schiarisco il tono, imbarazzandomi. «Ammetto che forse ora non è il momento giusto per avere un bambino ma, questo non significa che io non lo voglia in futuro» sorrido con affetto, mentre lui si volta a guardarmi. Mi guarda a lungo per poi alzare un braccio e farmi segno di raggiungerlo. Ci abbracciamo, gli stringo la schiena e lui mi lascia un bacio sul capo. «Non doveva essere il nostro momento» si ripete, tentando di convincersi, mentre io gli accarezzo i capelli.

Se davvero dovrò restare incinta accadrà prima o poi.

Ne sono certa.

Alla fine non andammo a quel ballo, nessuno dei due era dell'umore adatto per stare intorno a gente borghese e ascoltarli parlare dei loro ultimi affari. In realtà rimanemmo seduti sul divano del salotto a mangiare pizza e a guardare un film d'azione alla televisione, in compagnia di Marvin che tentava di rubarci la cena. Entrambi avevamo la mente in subbuglio, ma non ce lo dicevamo a parole e andava bene così. Solo pochi giorni dopo decisi di andare dalla ginecologa per iniziare a prendere la pillola. Non appena chiamano il mio nome, mi alzo dalla sedia e mi dirigo verso lo studio della dottoressa. Una donna dagli occhiali spessi, giovane e i capelli scuri mi saluta con un sorriso da dietro la scrivania. «Salve, prego si accomodi.» Mi stringe la mano e io la ringrazio, sedendomi sulla sedia. «Mi dica, di cosa ha bisogno?»

«Vorrei iniziare a prendere la pillola» rivelo.

«Come mai, se posso chiedere?» mi studia.

«Giovedì scorso credevo di essere rimasta incinta, non mi sentivo assolutamente pronta e, dopo averne parlato con il mio compagno ho deciso di consultarla.» Mi chiede se ho preso la pillola altre volte e io gli dico di sì, poiché al liceo la usavo spesso e volentieri. Mi chiede come mai c'era il dubbio che fossi incinta e io mi schiarisco il tono imbarazzata. «Abbiamo fatto sesso non protetto, nel periodo in cui non ero fertile» mi mordo il labbro inferiore, osservando la sua espressione da mamma premurosa. «Farlo nei periodi non fertili non è del tutto sicuro, c'è comunque una remota possibilità di restare incinte» mi dice. Nonostante il suo "rimprovero", mi dà comunque consigli e mi prescrive la pillola del giorno dopo.

La ringrazio, le stringo la mano e in seguito mi alzo dalla poltrona per uscire dal suo ufficio e andare a pagare la seduta. Quando rientro a casa saluto Marvin, gli do qualche carezza al capo e poi vado in cucina per posare le buste della spesa. Beltran è andato a comprarsi le sigarette, ultimamente ne fuma parecchie e penso sia dovuto allo spavento che abbiamo preso. Dopo aver lavato la verdura e aver sistemato la carne nel congelatore vado al piano di sopra per cambiarmi. Marvin mi segue sulle scale, è diventato più alto e slanciato, sta crescendo anche lui. Una volta in camera mi spoglio, indosso la salopette di jeans e un maglioncino morbido a collo alto. Il tintinnio di chiavi costringe Marvin a uscire in corridoio, abbaia come un dannato e io gli ripeto di fare silenzio.

I nostri vicini ci odieranno.

Esco dalla camera, mi aggrappo al corrimano e sorrido a Beltran davanti al portone. Mi alzo sulle punte per abbracciarlo e lui ricambia, stringendomi i fianchi. «Sono stata dalla ginecologa» lo informo quando mi stacco, notando un cipiglio sul suo viso. «Mi ha prescritto la pillola del giorno dopo, ma prima di usarla vorrei parlarne con te» dichiaro, studiandolo attentamente. Beltran ultimamente mi sembra distante, c'è rimasto parecchio male anche se non me lo dice direttamente per delusione. «Sono scelte tue, il corpo è il tuo» si espone, superandomi. «Lo so, ma noi siamo una coppia e le decisioni vanno prese insieme» asserisco, seguendolo in cucina. «Anche se non me ne parli so che avresti voluto che l'esito fosse positivo. Avresti voluto avere un bambino» sostengo, sicura.

Vorrei solo che si aprisse, che ne parlasse con me.

«Non è così» dice a denti stretti, ma è poco credibile visto che sta aprendo lo scomparto in alto per prendere la bottiglia di Whiskey. Scuoto il capo, provando a chiedergli cosa lo faccia arrabbiare tanto. Si versa tre dita nel bicchiere, scolandosi l'alcool senza pensarci due volte. «Parlami...» lo supplico, notando i suoi occhi divenire lava. Si volta a guardarmi, arriccia le labbra e sbatte di colpo il bicchiere sulla penisola. «L'avrei voluto, è vero. Sto realizzando solo adesso quanto mi sarebbe piaciuto vederti con in grembo un piccolo, ma è egoistico da parte mia desiderarlo se tu non sei d'accordo» sputa fuori. Sorrido per metà, abbassando il capo verso i miei piedi. «Non è egoistico, è bellissimo» confido. In passato avrei voluto vedere questa reazione in Jesse, al liceo speravo con tutta me stessa che lui cambiasse idea e che non mi abbandonasse ma non è successo. Beltran mi sta facendo capire che, nonostante il terrore e l'ansia, ci sarebbe comunque per noi e questo mi fa venire da piangere. Gli occhi mi si inumidiscono, scaccio via una lacrima traditrice mentre lui mi guarda con aria distrutta. Faccio il giro della penisola, lo raggiungo e gli stringo le mani con accortezza tra le mie. «Ti prometto che lo avremo, in futuro, ma lo avremo» dichiaro, guardandolo intensamente. «Ti amo» sussurro tra i singhiozzi. I tratti del suo viso si ammorbidiscono, gli occhi sono lucidi ma vividi. Poggia la fronte contro la mia, creando un momento tutto nostro che farò fatica a scordare. «Ti amo anche io...» rivela in un sussurro. Sorrido con le lacrime agli occhi perché in fondo so, che questo non sarà affatto il nostro ultimo "ti amo" ma solo uno dei tanti.

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