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Jackie

Cristian mi porta in un ristorante davvero carino e fantasioso. Non ho mai messo piede in un locale orientale, non ho nemmeno mai assaggiato il famoso sushi di cui tutti parlano. Mi guardo intorno, osservando la carta da parati fantasiosa e i vari tavoli neri sparpagliati per la sala. Appena entrati abbiamo subito intrapreso delle scale alte che ci hanno condotto al secondo piano. Grandi finestre illuminano la sala, tuttavia non mi sembra di essere a Washington ma da tutt'altra parte. «Non ho mai assaggiato questo tipo di piatti, dovrai consigliarmi» lo informo.

«Nessun problema, mangio qui ogni fine settimana.» Cristian mi indica alcuni numeri sul menù, mi elenca le pietanze e gli allergeni. Quando arriva il cameriere io sono in grado di ordinare solo una Coca-Cola, ci sono nomi troppo complicati da poter essere pronunciati. Cristian gli passa il menù quando ha finito, in seguito mi sistemo il tovagliolo sulle gambe. «Strano che tu non abbia mai mangiato il sushi» dice, sembrando incuriosito dalla mia ignoranza. «Di solito pranzo in una tavola calda oppure a casa mia» rivelo imbarazzata.

«Dunque fai la cameriera» cambia argomento.

«Sì, ma prima facevo tutt'altro.»

«Cosa?» domanda.

Ci vengono portate le bibite e io regalo un sorriso al cameriere, deve avere sui diciassette anni o qualcosa del genere. Quando se ne va, ritorno a guardare Cristian in faccia. «Facevo la psicologa» lo informo, sospirando.

«Come mai non me lo hai detto prima?» chiede interessato. Gli spiego che non ne ho avuto il modo e che comunque non è un argomento facile da toccare. «Quando sono arrivata a Washington ho chiesto se potessero spostarmi di sede, solo che le cliniche erano tutte piene e quindi sono rimasta con un pugno di mosche.»

«Non hai più riprovato?» accenna.

«Circa due settimane fa li ho chiamati ma, non mi hanno dato risposta positiva» confesso, vergognandomi.

«Conosco delle persone che lavorano in ospedale, potrei chiedere loro se sono in cerca di una psicologa al momento» fa spallucce. Alzo le sopracciglia, stupita dalla sua spontaneità. Davvero farebbe una cosa del genere per me? Non ci conosciamo da molto ed esporsi per me è un gran passo. «Sei sicuro di volerlo fare?» chiedo titubante.

«Sì, senza subbio» annuisce. Lo ringrazio, sentendo una stretta al cuore per la sua gentilezza. Passo delle ore fantastiche con Cristian, scopro che attualmente vive solo in un loft e che ha un cane di nome Lincoln – è un Setter e mi ha rivelato che l'ha adottato al canile circa cinque anni fa. Mi parla di alcuni episodi che gli sono capitati in clinica e non trovo affatto noioso nessuno di essi. Il sushi è più buono di quanto pensassi, non impazzisco per il salmone crudo ma per il resto è tutto buono. Abbiamo un piccolo battibecco quando paga il pranzo, ma alla fine vince lui e io lo trucido con lo sguardo. «Visto che tu hai pagato il pranzo, allora io ti porto a mangiare il dessert» ammicco. Durante il viaggio di ritorno, gli indico dove fermarsi così che possiamo raggiungere il chioschetto dei Waffle.

Ne prendiamo due pieni di Nutella e biscotti sbriciolati, ma stavolta pago io e lui scuote il capo. È proprio come pensavo, Cristian è diverso da ogni ragazzo che ho frequentato finora: c'è una sintonia speciale tra me e lui e non mi sento mai in difetto in sua compagnia. Di fronte c'è un parco, quindi oltrepassiamo l'ingresso e ci andiamo a sedere in una panchina sotto l'albero. «Delizioso» mugugno, pulendomi la bocca con il fazzoletto subito dopo. «Sette dollari, ma spesi benissimo» mugugno. Cristian annuisce, dandomi man forte mentre io continuo a gustarmi il Waffle. Restiamo al parco ancora per qualche ora, chiacchieriamo a più non posso e non mi stanco mai di sentire la sua voce. «Sono stato benissimo» ammette. «Dovrei dirlo io, ma mi fa comunque piacere sentirlo.» Scuote il capo, leccandosi il labbro inferiore per poi gettare i contenitori nel cestino. Ci dirigiamo verso l'uscita, calpestiamo l'erba tagliata con cura e io lo guardo di sottecchi. È proprio un bell'uomo, anche il suo stile basico mi piace. Sto per aprire bocca, quando d'un tratto sento le sue dita stringere le mie. Deglutisco, sentendo il mio cuore accelerare. Cristian si volta, vuole sondare la mia reazione ma quando nota che stringo a mia volta le dita nelle sue sorride. Passeggiamo mano nella mano, il suo tocco è caldo ma rassicurante. «Ti imbarazzo?» domanda, mentre ormai le mie guance sono color pomodoro. Sì, vorrei dirgli – ma tutto quello che faccio è nascondere il capo dietro la sua spalla. «Lo prendo per un sì» annuisce, mentre io scuoto il capo esasperata. Il viaggio di ritorno è silenzioso, ma non c'è un'atmosfera pesante anzi.

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