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Jackie

Lunedì mattina affronto il colloquio di lavoro.

La direttrice è una donna in gamba, sposata e dall'aspetto piacente. Fin dall'inizio mi sono sentita a mio agio con lei, mi ha persino offerto il caffè mentre rispondevo alle sue domande. Al termine mi ha posto il contratto davanti agli occhi, ha preso una penna dalla scrivania e mi ha chiesto quando sarei stata disposta a iniziare. Non riesco ancora a crederci, fatico a contenere l'emozione mentre scendo gli scalini della clinica con i tacchi. Brett mi attende in auto, alza gli occhi dal telefono e apre la portiera per venirmi in contro. Alza un sopracciglio, chiedendomi come sia andata e io mi getto fra le sue braccia urlando di gioia. «Mi hanno presa!» Sorride, stringendomi la schiena con soddisfazione. «Quella donna è fantastica, non credo di aver mai avuto un mio superiore così simpatico prima» gesticolo. Inizio a raccontargli di com'è andato l'evento, mi fa segno di salire in auto prima e io apro la portiera mentre fa il giro. «Naturalmente ho accettato» dichiaro, mentre lui mi chiede di aprire il cruscotto così che possa mettersi gli occhiali da sole. Mentre guida noto che stringe le labbra, come se qualcosa lo stesse facendo stare male.

«Hai ancora il mal di testa?» domando preoccupata. «Dovresti farti visitare da un medico, questa storia va avanti da una settimana ormai.»

«Sto bene» sminuisce con un gesto di mano.

«No invece» ribatto convinta.

«Ti ripeto che sto bene» stride i denti.

Ignoro il discorso perché tanto non riuscirei a fargli cambiare idea neanche tra cent'anni. Mi riprometto di fare qualche ricerca al computer una volta arrivata a casa, giusto per sicurezza. Brett mi lascia di fronte al viale, dicendomi che stamattina dovrà sbrigare alcune commissioni. Scendo dall'auto, sto per dirgli ciao quando cambia marcia e riparte lasciandomi basita. Sospiro, salendo i gradini per poi tirare fuori il doppione che mi ha prestato. Una volta in casa, Marvin fuoriesce dal salotto con in bocca un batuffolo di cotone.

Non mi dire che è quello che penso.

Scodinzola come un dannato, intanto sporgo il capo nel soggiorno e noto uno dei cuscini bucati e del tutto mangiucchiati. Schiudo le labbra, sapendo benissimo che dovrò sistemare tutto questo casino prima dell'arrivo di Brett. Ore dopo, mi ritrovo in camera nostra ad aprire il suo portatile; non lo usa mai, ha detto di averlo comprato solo in caso di necessità. Su internet cerco le possibili cause dovute all'emicrania, ma trovo risposte che già supponevo. Sospiro, chiudendo il pc con svogliatezza per poi fare un'analisi più accurata. L'ultima volta che ho visto Beltran, la sera in cui mi ha portata allo zoo ha iniziato a manifestare dei sintomi dolenti. Anche lui aveva mal di testa, d'improvviso era crollato a terra ed era svenuto. In seguito il suo alter-ego ha preso il comando, forse sta succedendo esattamente la stessa cosa ma il processo avviene a rilento. Mi alzo dalla scrivania, dirigendomi al piano inferiore per preparare il pranzo. Trovo il frigorifero pieno, bingo.

Circa mezz'ora dopo sento un tintinnio di chiavi, il portone di casa viene aperto e poco dopo sento gli stivali di Brett poggiarsi sul parquet. «Sono in cucina, ho preparato il pranzo!» lo informo, alzando il capo dopo poco. Brett corre al piano di sopra, lasciandomi senza parole. Spengo il gas, uscendo dalla cucina per poi salire gli scalini. «Brett, cosa diavolo ti prende?» sbotto confusa. Lo trovo in bagno, fruga tra i vari scomparti con agitazione e io lo richiamo ancora una volta. «Mi spieghi cosa fai?» Sbatte l'anta, facendomi sobbalzare. Nei suoi occhi leggo rabbia e molto altro. «Vuole riprendere il controllo!» sputa fuori, prendendosela anche con me.

«Beltran?» sussurro e lui annuisce.

Si tira le ciocche scure, stringendo il mobile subito dopo. «Sta cercando di farmi penare, ma non capisco perché» scuote il capo, con occhi sgranati e il tono basso.

«Hai bisogno di riposare, ho delle pasticche per lo stress nella borsa se vuoi posso sciogliertene una nell'acqua» tento di rassicurarlo, toccandogli il braccio. Si scansa in malo modo, come se fossi io il suo peggior nemico. «Non guardarmi così, ti prego...» lo scongiuro.

«È per colpa tua» mi indica, sordo.

«Non è vero e tu lo sai» mi trema la voce.

Scuote il capo, spostandomi di lato con la mano per poi marciare a passo spedito in camera nostra. Si chiude all'interno, lasciandomi un senso d'oppressione addosso. Non mi piace la sua reazione, non mi piace neanche come sbatta la porta e si chiuda all'interno della stanza per tenermi lontana. Voglio aiutarlo, ma è così accecato dalla rabbia da odiare anche me.

Sospiro, fermandomi dietro la maniglia.

Tento di convincerlo a parlarmi, a uscire ma non vuole saperne niente. Mi siedo a terra, poggio la schiena contro il muro e aspetto che mi dia un qualche segnale di volermi con lui. Sto quasi per addormentarmi contro la porta, quando d'improvviso lo sento urlare a squarciagola. Mi alzo immediatamente, abbasso la maniglia e sbatto la mano contro il legno. «Brett, ti prego apri!» mi trema la voce. «Ti scongiuro...» soffio, sentendolo urlare come un dannato. Sembra che qualcuno lo stia sparando, che gli stia facendo del male. Mi mordo il labbro inferiore, sentendo le sue urla proseguire per altri minuti interminabili. Lo richiamo altre volte, sperando che apra la porta ma questo non accade. A un certo punto urla a gran voce di aiutarlo. «FALLO SMETTERE!» ringhia, disperato. Traggo un profondo respiro, tentando di farmi venire qualcosa in mente. «Beltran, ti prego non fargli questo!» urlo, stringo la maniglia. «Lui è l'altra tua metà, ti ha sempre protetto e non so cosa ti stia spingendo a fargli del male ma ti prego... fermati» lo supplico, sentendo le lacrime colarmi sulle guance. Brett getta un urlo rauco, sento il rumore di vetri rotti e d'improvviso non c'è più alcun suono, solo silenzio. «Brett» soffio, tirando su con il naso. Minuti dopo, sento lo scatto della chiave. Spingo la porta con forza e lo ritrovo chinato a terra con le unghie sporche di sangue e dei graffi sul petto. Alcune gocce macchiano le lenzuola, ma io non me ne curo e lo raggiungo a terra. «Oh santo cielo!» esclamo, accarezzandogli i capelli e il viso con delicatezza. «Andrà tutto bene, te lo prometto...» «Supereremo anche questa, insieme.»

Il Bene In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora