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Jackie

«Sembra che qualcuno qui abbia un ammiratore.» Corrugo la fronte, sporgendo il capo oltre la spalla di Elisabeth per capire di chi sta parlando. Non appena scorgo il veterinario appoggiato al paraurti di una Camaro bianca per poco non mi esplodono gli occhi.

Credevo se ne fosse andato.

Deglutisco, mentre Shaila e Debbie fanno delle espressioni maliziose. «Piantatela, non succederà niente tra me e lui» nego convinta. Elisabeth alza gli occhi al cielo, inclinando il viso di lato. «Non ci credi neanche tu.» Non potrebbero mai capirmi, non sanno ancora nulla su di me: sono complicata, tossica e non farei altro che rovinargli la vita. Mi stringo la giacca sul busto, compiendo dei passi in direzione del veterinario. Sorrido brevemente, gettando un'occhiata alla macchina dalla carrozzeria bianca. «Bell'auto» mi complimento, mordendomi il labbro inferiore. «Accetta un passaggio?»

«Chiamami Jackie» sorrido.

«Visto che stiamo facendo le dovute presentazioni» si schiarisce il tono, porgendomi la mano. «Cristian» annuncia, mentre io stringo la presa.

«Non dovrei rivolgere parola agli sconosciuti» mento.

Sorride, guardandosi intorno. «Ma io sono il veterinario di Marvin, non sono uno sconosciuto» ammicca, facendomi ridacchiare. Trova sempre delle ottime scappatoie, gliene do atto.

I suoi occhi scuri si puntano verso l'entrata del locale, probabilmente quelle tre stupide delle mie colleghe staranno ridacchiando e osservando la scena. Volto il capo, vedendo tutt'e tre le more guardarci con curiosità e parlottare a bassa voce. Alzo gli occhi al cielo, rivolgendomi poi a Cristian. «Meglio andare, altrimenti continueranno a fissarci come se non ci fosse un domani.» Si scosta dal paraurti, mi apre lo sportello e lo trovo molto galante. Lo ringrazio, accomodandomi sul sedile riscaldato. Non appena entra in auto, cambia marcia e avvia il motore. «Sono sempre così?» chiede curioso.

«Ehm, amano i pettegolezzi» faccio spallucce.

Non mi sento a disagio con Cristian, è in qualche modo diverso da Scott. Spesso con Scott dovevo trovare un modo per riempire i nostri silenzi mentre con Cristian c'è una strana pace a cui non so ancora dare un nome.

«Non sei di Washington vero?» dice, gettandomi una breve occhiata.

«No, sono di Jacksonville» replico.

«Ne hai fatta di strada allora» sostiene.

«Sì, avevo bisogno di cambiare... aria» mento.

«Sta' tranquilla, non ti chiederò come mai ti sei trasferita» sorride, mettendomi a mio agio. «Si vede che qualcosa ti blocca» mi studia, mentre io scuoto il capo.

«E come lo sai?» domando.

«Sei piuttosto distaccata, in allerta.» Ci scambiamo un breve sguardo piuttosto intenso, sono costretta a distogliere gli occhi dai suoi perché mi mette in una strana posizione emotiva quest'uomo.

Non appena passa il semaforo mi chiede dove abito, quindi gli do le giuste indicazioni affinché arrivi all'indirizzo. Il viaggio prosegue in silenzio, socchiudo gli occhi e per poco non mi addormento sul suo sedile. Tuttavia, quando vedo il cancello di casa sbatto le palpebre e mi isso di schiena. «Grazie per il passaggio» annuisco, voltandomi a guardarlo per un breve istante. Annuisce, sembrando riflettere su qualcosa mentre io scendo.

«Jackie» mi richiama, quindi mi volto.

«Sì?»

Si lecca il labbro inferiore, schiarendosi il tono di voce. «Non tardare all'appuntamento» intima, con un tono di voce più severo rispetto a quello che usava poco fa. Annuisco confusa, richiudendo lo sportello per poi salire sul marciapiede. Parte, senza neanche aspettare che apra il cancello. Non credo di aver fatto niente di male, perciò non capisco questo suo improvviso cambio d'umore. Lascio perdere Cristian e il suo strano atteggiamento, richiudendo il cancello alle mie spalle per poi dirigermi verso il portone. Una volta in appartamento, Marvin mi fa le feste. Gli accarezzo il capo, gli lascio un bacio sulla testolina e dopo vado in cucina a bere un bicchiere d'acqua. Nei minuti a venire mi faccio una breve doccia, insapono i capelli e dopo mi passo svariate creme in corpo. Il phon lo uso poco e niente, lasciando che i capelli prendano forma da soli. Mi stendo sul letto con addosso il pigiama di medio tempo, lasciando che il condizionatore faccia il resto. Marvin gratta sul lenzuolo sporgente, quindi lo prendo in braccio per farlo riposare al mio fianco. «Sei proprio testone» sorrido, divertita.

Gli lascio un bacio sul capo, mettendomi più comoda sul cuscino. Chiudo gli occhi, sentendo la stanchezza far capolino. Mi addormento, pensando per la prima volta a come sarebbe stata la mia vita senza Beltran. Mi risveglio il mattino dopo, ma non mi sento riposata come vorrei. Inspiro, rigirandomi sul materasso mentre Marvin continua a russare a pancia in su. Mi passo una mano in volto, ricordandomi che oggi è lunedì e ho appuntamento dal veterinario. Ancora ho tempo, quindi me la prendo comoda questa mattina. La mia colazione è sempre contornata dal caffè in tazza e una merendina presa dalla dispensa. Effettuo la mia solita routine dentale e dopo mi vesto con un maglioncino color noce e un jeans azzurro a zampa di elefante. Infilo gli stivaletti a spillo, prendendo il giaccone e il collare azzurro di Marvin. Quando usciamo dal palazzo il vento mi sferza i ricci dietro la schiena. Aspetto l'Uber, guardando di tanto in tanto l'orario sul telefono. Arrivo dal veterinario in ritardo, ma non di certo per colpa mia. Quando busso alla porta della clinica, è Cristian a invitarmi a entrare. Lo trovo dietro la scrivania, impegnato a scrivere qualcosa al computer. Alla mia destra ci sono degli scaffali con dei prodotti e integratori, a sinistra invece c'è un lettino per cani. «Ciao, scusa il ritardo ma il traffico era davvero caotico questa mattina» sorrido, mentre lui mi ignora e torna a prestare attenzione al suo computer.

«Puoi lasciarlo sul lettino» dice, senza guardarmi.

Annuisco, poggiando Marvin. Cristian resta severo per tutta la seduta: gli toglie i punti alla coda e io tento di tranquillizzare Marvin con delle dolci carezze.

«La ferità si è chiusa, puoi stare tranquilla. Il prossimo mese effettueremo il secondo vaccino» dice mentre io annuisco e mi schiarisco il tono di voce. «C'è qualcosa che non va?» domando, perplessa dal suo tono così professionale. Insomma, fino a ieri mi dava un passaggio a casa e flirtava senza problemi e ora sembra che stia parlando con una delle sue solite clienti. Scuote il capo, facendo il giro della scrivania per accomodarsi.

«No, è tutto regolare» fa spallucce, ignorandomi.

«Sembri piuttosto freddo» lo studio.

Prende un profondo respiro, come se fosse seccato e questo mi irrita. «Credo sia meglio mantenere un rapporto strettamente professionale. Ieri sera non avrei dovuto disturbarti in quel modo» gesticola, esasperato.

«Non devi preoccuparti, non mi hai infastidita.»

«In ogni caso non ricapiterà più. Adesso ho altri pazienti di cui occuparmi perciò avrei bisogno di andare avanti con la fila» devia lo sguardo altrove, lasciandomi sconcertata. Prendo in braccio Marvin, guardando di traverso Cristian. «Sai, forse è meglio che io mi trovi un altro veterinario visto che sei così impegnato» ribatto urtata, aprendo la porta sotto la sua occhiataccia. Non mi curo neanche di chiuderla, oltrepasso l'uscita con il fuoco sotto gli stivali. Gli altri clienti mi guardano come se avessi tre teste ma io li ignoro. Giustamente non bastava Cristian a rovinarmi la giornata, persino l'Uber a cui avevo chiesto di aspettarmi se ne è andato, lasciandomi a piedi. Mi passo una mano tra i capelli, disperata e infuriata con tutto il mondo. Sembra che tutti complottino contro di me oggi, è una mia impressione? Non credo.

«Marvin, noi non abbiamo bisogno di nessuno» parlo con il cucciolo che intanto inclina il viso di lato e mi osserva con espressione confusa. «Andremo a piedi.» Nonostante la convinzione, continuo a pensare che avrei dovuto chiamare un Uber durante il tragitto di ritorno. Ho camminato ininterrottamente per circa trenta minuti, ho male ai piedi e sono persino sudata. Marvin è l'unico che sembra gioire di questa passeggiata, beato lui. «Ho bisogno di una pausa...» mi si spezza il fiato, mentre mi appoggio al muro di un negozio. So di essere vicino casa, ma ho bisogno di fermarmi un attimo. Alzo distrattamente il capo, sgranando gli occhi appena scorgo la cabina telefonica che supero tutti i giorni. Sento il cuore a mille, le labbra si seccano ed è come se ogni cellula del mio corpo mi spinga a fare la scelta sbagliata. Inspiro, gettando una breve occhiata al circondato. La cabina telefonica è proprio alla mia destra, sembra che mi inviti a entrare. Presa dalla nostalgia e dalla desolazione, alla fine mi avvicino alla porticina e la spingo. Marvin si accuccia ai miei piedi, guardandomi dal basso con quei suoi occhioni azzurri. Sorrido nervosamente, per poi prendere la cornetta con dita tremolanti e comporre un numero che non dovrei. Inizia a squillare e, più il tempo passa, più mi pento di quello che sto facendo. Passa qualche secondo, sono pronta per riattaccare ma d'improvviso non sento più il bip. «Pronto?» risponde mia madre. Perdo un battito al suo tono così rauco, stanco; mi è mancata più di ogni altra cosa al mondo. I miei occhi si appannano: non riesco a contenere l'emozione, mi basta anche solo ascoltarla.

«Ciao Mamma.»

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