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Jackie

Non riesco a crederci» sbuffa Elisabeth, contando le mance che ho fatto questa sera. Ridacchio, mentre lei alza un sopracciglio scuro e scuote il capo sconcertata. «Maledizione, quattrocento dollari?» esclama, restituendomi i soldi con bocca spalancata. Sorrido, mettendo il denaro nella tasca interna del mio grembiulino. «Saranno i tuoi capelli biondi per caso? Sapevo di dovermi fare la tinta nocciola chiaro, maledizione.» La spingo via dalla spalla, mentre la spilungona mi segue fino al bar del locale notturno. Dentro questo Night Club siamo tutte donne, anche le bariste lo sono. Siamo in tutto quattro cameriere e due bartender, il mio porto sicuro sono proprio quest'ultime oltre che Elisabeth. Shaila e Debbie stanno scrivendo la lista degli alcolici che mancano, la prima è una ragazza di trentadue anni con un marito e un figlio a casa di nome Bruce. Shaila è caparbia, abile e sa di certo come scacciare via gli "Allunga mani" – non credo serva una descrizione per questi ultimi. Deborah, ovvero Debbie è una giovane studentessa di lingue e, per pagarsi la retta annuale, lavora come barista. Entrambe castane e dagli occhi scuri ma, a differenza di Shaila, Debbie non ha tatuaggi. «Sono esausta, ho perso il conto dei Mojito che hanno ordinato questa sera» sbuffa Debbie, stringendosi la coda mentre Elisabeth scuote il capo. «La biondina ha fatto quattrocento dollari di mancia» mi indica con il pollice. «Smettila, ho fatto solo cinquanta dollari in più di te» le ricordo, sciogliendo il fiocco sulla schiena.

Elisabeth alza un dito, proprio come farebbe un'insegnante. «Ehi, cinquanta dollari fanno la differenza.» Alzo gli occhi al cielo, mentre la mia collega si siede sullo sgabello e poggia una mano sotto il mento chiedendo delle noccioline a Debbie. Ellie è una sognatrice, sempre con la mente altrove ma dalla battuta pronta e la lingua biforcuta. È una ragazza semplice, acqua e sapone con dei capelli mogano mossi e gli occhi azzurri. «Un giorno di questi mi sbronzerò a fine turno» afferma proprio lei, indicando gli alcolici sullo scaffale dietro Debbie. «Sarò così tanto ubriaca da non poter neanche uscire da quella porta, penso proprio che dormirò qui così che il giorno dopo non faccia neanche ritardo» sostiene. Debbie ridacchia e io scuoto il capo, sconvolta dalla serietà con cui dice certe scemenze. «Che ore sono?» domanda Shaila, sgranchendosi la schiena.

«L'una e mezza» dico, guardando il telefono.

«Bene, è ora di chiudere la baracca» sospira.

Confermo con il capo, sentendo le gambe dolermi per quanto ho camminato questa sera. Io ed Elisabeth iniziamo a pulire in giro, le altre due cameriere se la prendono comoda e preferiscono chattare al telefono invece che darci una mano. Elisabeth borbotta qualcosa sulla loro incapacità, mentre io le faccio segno di lasciar perdere perché siamo tutte stanche. Dopo aver lavato e sistemato le sedie ai tavoli, alla fine usciamo dal Night Club.

«Ci vediamo domani» saluto Shaila e Debbie.

«Buonanotte ragazze» ricambiano, mentre le altre due studentesse del liceo mandano vocali a qualcuno sul telefono.

«Andiamo, ti accompagno a casa» mi fa cenno Ellie.

Ogni sera, Elisabeth si offre di accompagnarmi e io le devo molto. Non passano i treni a quest'ora, inoltre i taxi sono costosi e spesso e volentieri gli autisti non sono in servizio. Per fortuna è di strada, perciò non mi sento neanche in colpa per farle fare doppio tragitto. Il palazzo in cui vivo è all'inizio di una stradina trafficata ma piena di negozi nelle vicinanze. Da una parte è comodo viverci, dall'altra è rumoroso. Non appena si ferma di fronte al cancello verde, tiro fuori le chiavi dalla tasca della giacca. La saluto con un bacio sulla guancia per poi uscire dalla vettura. «A domani» le sorrido mentre lei ricambia con la mano. Una volta in appartamento accendo l'aria condizionata, dopo vado in bagno per farmi una doccia. Lascio tutto in una cesta sotto il mobile del lavandino, dopo entro nel box. Quando sono a lavoro non penso a quanto sia effettivamente sola, non mi sento vulnerabile o triste. Tuttavia, non appena richiudo il portone di casa torno a sentire come una sorta d'ansia dentro di me e tutto è più difficile. Penso costantemente alla mia famiglia, alla piccola Judith e a Glenn. Saranno preoccupati a morte per me, sono proprio una pessima persona. Quando mi getto sul letto ho ancora i capelli umidi. La stanchezza, la paura e l'ansia mi portano subito da Morfeo e, in pochi minuti, mi addormento sopra le coperte. Il giorno dopo, è la sveglia a ricordarmi che non posso riposare tutta la mattina. Sospiro, passo il dito sul telefono e in seguito mi gratto il capo. Un tempo avevo i capelli di una forma scomposta, ma da quando li lascio poco asciutti diventano ricci come per natura.

Mi alzo dal letto, riesco a trascinarmi prima in bagno e dopo in cucina. Al mattino bevo sempre una tazza di caffè bollente, accompagnata da dei muffin comprati al supermercato. Guardo una vecchia telenovela alla televisione, bevendo di tanto in tanto un sorso di caffè mentre me ne sto seduta sul divano. Magari stamattina potrei fare delle pulizie per tenermi impegnata, penso. Alla fine mi ritrovo a lavare il pavimento di marmo color noce. Cambio le lenzuola al letto, mettendone un paio fucsia che avevo comprato tempo fa. La mia camera ha tre pareti bianche e una grigia; è spaziosa ed è collegata al bagno, quindi non devo fare molta fatica per raggiungerlo. Dopo aver spruzzato profumo da per tutto e aver tolto la polvere, mi metto le mani sui fianchi e sospiro tornando a sentire la noia assalirmi. Forse farei meglio a uscire di casa, un po' d'aria fresca potrebbe aiutarmi a rilassarmi. Dopo essermi vestita con un paio di jeans comodi, un maglioncino bianco e i miei soliti anfibi prendo la tracolla nera ed esco di casa. Potrei andare a fare un po' di spesa, il frigo inizia a essere vuoto. Cammino sul marciapiede, tentando di non sfiorare la spalla di nessuno dei passanti. Aspetto che il semaforo diventi verde, dopo passo le strisce pedonali come tutti gli altri. Il giaccone mi copre la schiena, ma mi pento comunque di non essermi portata i guanti. Durante il tragitto, i miei occhi vengono catturati dalla cabina telefonica in cui ero ieri. Socchiudo gli occhi, sentendo la speranza nascere dentro di me all'idea di comporre il numero di mia madre. Stringo i pugni, ignorando le fitte allo stomaco. Mi costringo a camminare dritto, tentando di fare la scelta giusta almeno stavolta.

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