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Brett

Non ne posso più di questa città.

Il traffico, i clacson rumorosi e il cielo sempre grigio mi mettono di malumore, non che di solito sia sereno ma ultimamente mi sento incredibilmente frustrato. Richiudo il portone d'ingresso; il sole sembra nascondersi dietro le nuvole stamattina, non filtra abbastanza luce dalle vetrate e quindi la cucina è scarsamente illuminata. Avrei un altro dipinto da commissionare ma senza la luce giusta non riuscirei mai a cogliere i minimi dettagli che desidero: mi ritengo piuttosto pignolo nel mio lavoro. Lascio le chiavi sulla penisola, gettando un'occhiata distratta al marmo. Mi accorgo di due biglietti di lato al vaso decorativo, li prendo in mano con un sopracciglio alzato. Dei passi mi ridestano, alzo gli occhi trovando Jackie con un sorriso impercettibile sulle labbra. «Bentornato.»

«Hai acquistato dei biglietti per il museo?» esordisco.

Annuisce, noto che si è cambiata: indossa un jeans largo, un lupetto nero e ai piedi calza i suoi immancabili stivaletti a spillo. Non è truccata, ma credo si sia lavata i capelli perché i ricci le contornano tutto il viso.

«Sì, stamattina ho portato Marvin a passeggio e per puro caso sono passata davanti al museo. Un uomo vendeva gli ultimi biglietti all'ingresso e, visto che ami l'arte, ho pensato "perché non comprarli?"» arrossisce. Avrei proprio bisogno di svagarmi, sento di star per essere risucchiato da questo posto. «I biglietti sono due» elenco.

«Sì, mi piacerebbe accompagnarti» diventa timida.

Ammetto che mi suona strana questa sua richiesta.

Non capisco perché voglia passare del tempo con me, insomma credevo mi odiasse, ma forse mi sbagliavo. È da giorni che la percepisco diversa nei miei confronti: è più vigile e premurosa. Prepara il pranzo anche per me, pulisce il disordine che combino e so che qualche volta, quando torna dal lavoro, mi copre con la coperta. Pensa che non me ne accorga ma io ho il sonno leggero e la sento sempre.

Aspetta una mia risposta, quindi ingoio l'orgoglio e apro bocca. «Non dovresti andare al lavoro?» domando.

«Ho delle ferie da consumare, quindi sono libera.»

«Va bene, ma sì puntuale perché odio i ritardatari.»

Sorride, mentre io la supero e mi dirigo in bagno con un certo nervosismo crescente. Adesso perché sono agitato? Non è un appuntamento e poi non dovrebbe importamene. Nelle ore seguenti sembra andare tutto per il verso giusto: Jackie prepara il pranzo, ma questo suo atteggiamento docile mi rende irrequieto. Mi domando cosa voglia da me, so cosa vuole da Beltran ma non cosa voglia da me. Appoggio i palmi sulla penisola, me ne resto a debita distanza da lei e la guardo mentre manovra la padella e i fornelli. Assottiglio gli occhi, studiando i movimenti del suo corpo. Non glielo dirò mai, ma esteticamente è proprio il mio prototipo. Abbiamo gusti simili io e Beltran, solo che lui dà subito sfogo ai suoi ormoni, io no. L'abbaio di Marvin mi ridesta dal contemplarla, lancio un'occhiataccia al cane che chiede qualche sfiziosità alla sua padrona.

«No, ti ho già dato i croccantini» brontola Jackie.

Scuoto il capo, preferendo raggiungere il divano e mettere distanza. Questa agitazione non passa neanche dopo pranzo e nemmeno nel pomeriggio. Inizio a pensare che io sia in questo stato per via della psicologa, ma rifiuto di ammetterlo a me stesso. Mi trovo nel soggiorno; sulla poltrona trovo i miei vestiti stirati, quindi prendo la maglia attillata e il pantalone jeans per cambiarmi. Jackie è rinchiusa in camera sua da svariati minuti, quindi non mi preoccupo che possa vedermi nudo. Finisco di vestirmi prima di lei, infilo gli stivali e poi mi passo una mano tra i capelli per spostare qualche ciocca dalla fronte.

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