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E V E R G R E E N

Donnie



[Tre settimane prima]

Il completo nero mi sta stretto sulle cosce e sui bicipiti. La camicia esce di un paio di centimetri dalle maniche della giacca dello stesso colore e mi fa venire voglia di dargli fuoco.

Nulla di quello che indosso al momento è adatto alla mia stazza. Solo le scarpe, gli anfibi in pelle nera che ho da quasi dieci anni.

Li avevo presi in un negozio dell'usato, appena uscito dal riformatorio. Un veterano dell'esercito doveva averli venduti per ricavarci qualche soldo e io li ho rubati, neanche fossero caramelle. Sono uno dei miei possedimenti più cari. Gli anfibi, il mio Rolex argento e la mia Sierra GMC 1500 cavalli nero opaco.

Tiro per l'ennesima volta le maniche della giacca sui polsi, come se per magia potessero diventare della lunghezza delle mie braccia. Ci rinuncio e giro all'indietro i polsini della camicia, così da non sembrare un totale coglione.

Non ho avuto tempo di farmi fare un vestito su misura, che tanto non avrei usato fino al prossimo funerale, quindi mi sono dovuto accontentare del primo negozio di lusso che ho trovato stamattina, sborsando quattromila dollari. Brioni del cazzo.

Mi sarebbe scocciato, però, presentarmi alla funzione di Cisco con le Air Force bianche e una tuta della Nike.

Era il mio migliore amico.

Vedo Santi arrivare con la sua donna. Anche lui ha un completo nero, ma sembra molto meno costoso del mio. La cravatta è annodata storta sulla camicia bianca, come se si fosse vestito senza manco guardarsi allo specchio. Mi raggiunge e mi dà una pacca sulla spalla.

«Donnie, hermano. Come stai?» Si sposta gli occhiali da sole scuri sulla testa pelata e da una vigorosa grattata alla lunga barba. In alcuni punti è ingrigita, in altri ancora rossa.

Alzo le spalle. Come cazzo devo stare? Il mio migliore amico, la mia spalla, il mio socio e complice si è bucato il braccio fino a vedere l'inferno e restarci. «Ancora vivo» rispondo.

La sua donna è bassa e tarchiata, dalla pelle scura sembrerebbe latina. Indossa un tubino nero rivestito di pizzo, che le mette in risalto un accenno di pancia rotonda, sulle spalle ha posata una giacca leggera di pelle finta. Ha degli odiosi stivali scamosciati alti fino al ginocchio. Non so se Santi mi abbia mai accennato il suo nome, se così fosse l'ho dimenticato. Nemmeno mi interessa saperlo, in tutta sincerità.

«Vieni a sederti con noi?» chiede Santi.

La famiglia di Cisco è già seduta nella prima fila di sedie. Scuoto la testa, preferisco starmene in piedi, in disparte. Dubito che sua madre voglia stare seduta accanto alla persona che ha portato il figlio così vicino al giro degli oppiacei e, anziché aiutarlo a uscirne, l'ha portato a derubare le ville di Orange per pagarsi la dipendenza.

Forse, per rispetto, non sarei manco dovuto venire, ma volevo vedere con i miei occhi mentre lo mettevano sottoterra. E, poi, non è certo colpa mia se il suo spacciatore gli ha tagliato il catrame col Fentanyl.

Santi annuisce comprensivo e prende la mano della donna. «Ci vediamo più tardi, allora.»

Qualche minuto e tutte le sedie si riempiono. Rimaniamo io e poche altre persone in piedi. A pochi metri di distanza, c'è una buca di tre metri nel terreno. Una piramide di terra copre il prato verde perfettamente curato.

I tre fratelli di Cisco, il cugino dalla parte della madre e lo zio arrivano portando la bara. È di un bel legno scuro, con una corona di fiori rossi, bianchi e lilla. Un paio di addetti aiutano i familiari a posarla al centro della buca, dove la legano con delle spesse corde. Un prete, vestito con una tunica nera e colletto bianco, arriva in coda al piccolo corteo e si posiziona accanto al leggio.

DARKTOKEN || Dark romanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora