L I M I T S
Kasey
La testa mi fa un male cane e sono sul punto di vomitare, ma apro gli occhi.
Sono a terra, dentro a un furgone in movimento. Provo ad alzarmi, ma ho le mani e i piedi legati. Non riesco a muovermi.
Davanti a me appare una figura con il volto coperto e mi afferra. È uno dei rapinatori con il passamontagna, ma non saprei dire quale, ho la vista annebbiata.
Non so se il tizio a cui ho sparato sia morto o solo ferito, ma sono certa che siano almeno in due, mentre io sono una sola. Come potrei sperare di cavarmela contro di loro, scalza, in pigiama, legata e probabilmente con un trauma cranico?
Cerco di strisciare via, ma il tizio mi riacchiappa. Provo ad urlare ma la mia bocca è sigillata con del nastro adesivo e dalle mie labbra esce solo un mugolio disperato. Il rapinatore mi stringe a sé e riconosco quel contatto, riconosco il suo odore: è lo stesso che mi ha minacciata stanotte e che mi ha stordita a colpi in testa.
Mi cinge il collo con un braccio e con l'altro fa leva per soffocarmi.
Alzo le braccia, ma ho i polsi legati insieme. Mi aggrappo con le unghie alla sua giacca, cerco di tirare, ma non sono abbastanza forte da contrastarlo. Scalcio a gambe unite e mugolo disperata. Non c'è niente da fare, però, e la vista mi diventa nera.
✞✞✞
Quando riprendo conoscenza, non sono più nel camioncino.
Sono legata a un grosso scaffale di metallo con un paio di manette che mi stringe il polso destro. La mia mano sinistra è libera. Strappo il nastro che mi tappa la bocca e grugnisco per il dolore.
La prima cosa che dico ad alta voce, non appena riesco ad aprire le labbra, è una serie di imprecazioni.
Le caviglie, invece, sono ancora legate tra loro con del nastro isolante. Provo a strapparlo con la mano sinistra, ma lo strato è spesso e con una mano sola faccio fatica.
Accanto a me c'è un divano verde sbiadito, con una coperta e un paio di cuscini. Poco più avanti, noto una lunga scrivania con un paio di sedie girevoli. C'è un frigorifero dall'altra parte della stanzetta, dal leggero ronzio che emette sembra essere funzionante, ma è troppo lontano perché io riesca a raggiungerlo.
Stringo un bracciolo del divano e mi isso in piedi. Non che possa andare molto lontana a piedi uniti e con un braccio legato. Punto le piante sul pavimento e tiro con tutta la forza che mi rimane, ma lo scaffale di metallo non si sposta di nemmeno un millimetro, è troppo pesante.
Le manette mi hanno lasciato un segno rosso sui polsi, scavandomi nella pelle per la forza con cui ho cercato di romperle. A meno che io non voglia tentare di strapparmi la mano intera per liberarmi, continuare è inutile.
Mi siedo sul bracciolo del divano e sollevo le gambe, incastrandole sopra al mio polso. Gli addominali mi bruciano per lo sforzo e i muscoli iniziano a tremarmi per la posizione così scomoda, ma continuo a sfregare il metallo sul nastro isolante, finché non riesco a tagliarne un pezzo. Scivolo sul divano e con la mano libera scavo con le unghie fino a strapparlo del tutto.
Abbandono la testa sui cuscini e sospiro per il sollievo.
Ho le caviglie arrossate, la pelle mi prude, ma riuscire a muoverle separatamente è meraviglioso.
Ora che sono parzialmente libera, mi rendo conto di quanto sia assetata. Non ho fame, però, ho lo stomaco ancora sottosopra per la nausea.
Mi porto una mano alla testa e scopro di avere del sangue raggrumato tra i capelli e una ferita che si sta rimarginando sulla tempia. Ho ancora addosso il mio dannato pigiama rosa di seta e fa freddo qui dentro, ovunque io sia.
Mi guardo intorno. Quello in cui sono rinchiusa sembra essere una sorta di ufficio spoglio, ma non credo di trovarmi all'interno di un palazzo. Le pareti sembrano quelle di un prefabbricato, formate da più pannelli connessi tra di loro, e la porta è troppo lontana perché io riesca a raggiungerla. C'è una finestrella su una parete dell'ufficio, ma sembra coperta da un telo nero dall'esterno.
Non ho idea se sia ancora notte o giorno.
Un pensiero triste mi trapassa la mente, facendomi affondare il cuore nella pancia. Qualsiasi ora sia, oggi è Natale e io lo passerò rinchiusa qui dentro.
Dove diavolo mi hanno portata?
Forse un cantiere isolato? Un ufficio in una zona industriale?
Lancio un urlo, ma la mia voce rimbalza e riecheggia tra le pareti vuote. Aguzzo le orecchie e trattengo il respiro, ma non sento altri rumori se non il ronzio del frigorifero.
Per fortuna, però, non sono al buio. La lampada alla scrivania è accesa e riempe l'ufficio di una triste luce alogena bianca e fredda.
Sono da sola, però.
Non ci sono rapinatori malintenzionati a farmi da guardia, almeno per ora.
Non conosco le loro intenzioni e non credo che il loro piano fosse rapirmi fin dall'inizio. Sembravano più intenzionati a rubare il contenuto della cassaforte di mio padre e, di certo, non si aspettavano di trovarmi in casa.
Il loro capo, quello alto e muscoloso, sembrava più che disposto a uccidermi. Forse vuole farmi di peggio, torturarmi o chissà cosa, per vendicare il suo complice.
Mi domando se hanno intenzione di chiedere un riscatto a mio padre.
Sembravano essere a conoscenza della sua cassaforte e di quello che conteneva. Quindi, immagino debbano sapere anche quanto vale il suo patrimonio. Dopo un furto con scasso e rapimento, cosa sarà mai per loro anche una piccola estorsione?
Randolph mi detesta, ma non lascerebbe sua figlia in mano a dei malviventi solo per punirmi di aver fallito i corsi in università. Non perché prova affetto per me, ma perché sono una sua proprietà e non sopporterebbe che qualcun altro avesse controllo su qualcosa che possiede.
Credo pagherebbe il riscatto. Lo spero.
Mi allungo ad afferrare la coperta con la mano libera e cerco in qualche modo di avvolgermela addosso. Nonostante debba tenere il braccio allungato a causa delle manette, riesco ad accucciarmi contro lo schienale del divano e a trovare una posizione confortevole.
La testa mi fa un male cane.
Se hanno davvero intenzione di chiedere un riscatto, ho paura che torneranno a farmi visita presto. Magari mi porteranno qualcosa da bere e da mangiare, se vogliono riconsegnarmi intera per avere i soldi di mio padre.
E se mi uccidessero lo stesso?
Magari mi taglieranno pezzo dopo pezzo e lo spediranno a Randolph.
O, forse, nemmeno chiederanno il riscatto. È rischioso e io sono una inconveniente per loro. Non li ho mai visti in faccia, ma forse potrei riconoscerli dalla bocca, dagli occhi e sicuramente potrei riconoscere il loro capo dalla voce. Così bassa e roca, minacciosa e autoritaria.
Anche se mi costa ammetterlo, ho paura.
Sono abituata al mostro che vive nella mia stessa casa, ma questi sono demoni che non conosco. Non so anticipare le loro mosse, i loro pensieri, i loro desideri. Non posso proteggermi se non conosco le loro intenzioni.
La mia vita è nelle loro mani, in balia delle loro decisioni.
Odio sentirmi così vulnerabile.
Una rabbia familiare mi intorpidisce lo stomaco e si divora la mia paura. Forse non potrò combatterli, ma posso studiarli, manipolarli e guadagnare più tempo e libertà che posso. Magari potrei anche riuscire a convincerli a lasciarmi andare.
Non mi farò controllare.
Non mi farò schiacciare ancora una volta.
Devo solo aspettare che vengano da me e giocare al loro gioco, fingere di essere la ragazzina debole e indifesa che pensano che io sia. Capire i loro desideri, i loro bisogni e sfruttarli a mio favore. Prima che se ne accorgano, saranno loro a cadere nella mia tele e se loro sono mosche io sarò il ragno.
Non mi lascerò uccidere così facilmente.
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DARKTOKEN || Dark romance
RomanceNon sarei dovuta essere in casa. E lui non sarebbe dovuto entrare. ✞✞✞ Kasey odia suo padre, il giudice corrotto Remington. Controlla ogni aspetto della sua vita, come se la figlia fosse solo un altro dei suoi possedimenti: dall'università che freq...