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G L A S S   H O U S E S

Kasey

Ho sempre pensato di essere forte, indistruttibile. Forgiata nel metallo più resistente e ricoperta da uno spesso strato di cemento armato. Pensavo di essere un muro altissimo che non potesse essere rotto, piegato o prevaricato.

Evidentemente non lo sono.

Sono debole, vulnerabile, così facile da spezzare.

Mi sono rivestita, ho ricacciato le lacrime e tutta la vergogna in fondo allo stomaco e mi sono chiusa in camera. Ho fatto una doccia bollente per lavare via dalla mia pelle la presenza della sua violenza su di me, finché non mi sono rimasti solo i segni rossi delle sue frustate a pulsare; mi sono truccata, ho acceso il computer e ho giocato live davanti a un migliaio di spettatori, fingendo di divertirmi, fingendo che fosse tutto a posto. Fingendo che mio padre non mi avesse umiliata e percossa solo qualche ora prima.

Da sabato sera, Randolph non mi ha più parlato. Come se avesse il diritto di essere arrabbiato con me dopo quello lui mi ha fatto.

Tutto quello che mia madre è riuscita a dirmi la mattina dopo è stato: «Sai com'è fatto, papà. Non devi provocarlo.»

Cristo.

Che schifo.

Mia sorella, invece, mi ha guardato muta con i suoi occhi azzurri pieni di rimorsi e senso di colpa non appena ha visto il segno rosso e viola della cintura di Randolph stampato sulla mia guancia. Anziché chiedermi scusa, però, mi ha detto: «Sei una stronza», con la sua vocina stridula tremante.

Lo dice solo perché sa che le conviene stare dalla parte del mostro se non vuole essere sbranata anche lei, e non posso biasimarla. Sono anni che non sente il sapore del sangue in bocca e forse è meglio se continua ad assecondarlo.

Per me, purtroppo, è troppo tardi.

Ormai per mio padre sono la pecora nera, la figlia ribelle, quella uscita male. Potrei anche prendere domani la mia laurea alla scuola di legge a pieni voti e lui resterebbe comunque deluso, troverebbe di certo qualcosa per cui criticarmi.

Inizio a pensare che gli piaccia umiliarmi e che goda nel tenerci tutte nel suo pugno. Che ami esercitare il suo controllo su di noi come se fossimo pedine in un gioco in cui siamo destinate a perdere. Il suo gioco, quello dove lui è l'unico vincitore. Dove lui è re, despota e boia.

Non sono io ad essere vulnerabile o debole, no.

È lui ad essere un mostro.

È lui l'arma capace di rompermi, spezzarmi e farmi piegare, quando nessun altro può. E io non voglio mai più sentirmi come si sono sentita sabato sera.

Dopo il Natale a Burlington, prima che Randolph possa mandare i suoi commilitoni a prendermi e portarmi a Fort Knox, farò le valige e scapperò da qualche parte. Magari per i primi tempi starò con Margo, poi se riuscirò a mettere da parte altri soldi me ne andrò in California, dall'altra parte del Paese. Me ne andrò il più lontano possibile, dove Randolph non potrà più toccarmi.

Ho pensato tantissime volte a scappare, ci pensavo quasi ogni giorno alle scuole superiori, ma non l'ho mai fatto perché non volevo lasciare mia madre e mia sorella più piccola sole con lui. Pensavo di doverle proteggerle o, almeno, di dover soffrire quanto loro, ma sono arrivata al limite.

Devo pensare a me stessa, per una volta.

Proprio come ha detto Margo.

Do un'occhiata al telefono, c'è una nuova notifica. Un messaggio di Miles.

DARKTOKEN || Dark romanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora