Atto 5 - Lo sceneggiatore texano cresciuto in Virginia

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«Perché non ho la libertà di andarmi a fare una birra e di trovarmi una sveltina italiana decente e mi tocca restare tutta la sera con te, che sei pure brutto?»

Lo sceneggiatore texano quando era alterato virava sul volgare, per di più con quell'accento che lo rendeva antipatico pure ai compatrioti.

«Perché l'ultima volta che ti sei fatto da solo una birra hai combinato un casino. In più, ti voglio lucido. Dobbiamo parlare della conferenza e stabilire nel dettaglio quanto potrai dire sul tuo lavoro», rispose spazientito il regista, con la sensazione di essere l'unico a cui la proiezione italiana per la stampa stesse a cuore.

BILLIE SHELTON (voce fuori campo)

Se in questo momento trapelasse che la sceneggiatura è in realtà tutta opera dell'autore del soggetto, cioè io, scomparso poco dopo l'inizio delle riprese, il film andrebbe davvero a puttane. La firma del texano, molto apprezzato nell'ambiente e noto per un paio di Golden Globe e un Sundance, più varie nomination al Tribeca, conferisce al film qualche chance in più di quante ne avrebbe allo stato reale delle cose. Il morto, sempre io, sconosciuto ai più e che negli ultimi anni della sua vita non ha scritto altro che porcate di cassetta, è stato imposto da qualcuno. Una marchetta, dicono tutti, stronzi pettegoli, ma il soggetto è ottimo, e quando l'autore è passato a miglior vita per un brutto incidente, tutti hanno pensato, produttore compreso, che sarebbe stato meglio far apporre la firma del texano all'intero lavoro, tanto nessuno avrebbe potuto smentirli. Qualche aggiunta qua e là era necessaria, ma il grosso del lavoro era già bello e pronto. Grazie tante.

«Mi sento un ladro. Non so se avrò più il coraggio di guardarmi allo specchio dopo questo furto. Quel poveraccio è morto e noi invece di celebrarlo gli stiamo fregando il lavoro.»

«Con i soldi che questo film ti farà guadagnare, potrai costruirgli un monumento, dedicargli un libro, fare beneficienza. Quel cazzo che ti pare, ma non mollarci in questo modo proprio ora.»

Il regista era stanco di chiarire i motivi per cui avevano deciso che sarebbe stato meglio per tutti se il morto fosse stato poco presente nei loro discorsi. E soprattutto nei crediti.

«Ti rendi conto che in Italia abbiamo sempre avuto un grande successo e che un paio di anni fa, i cinema romani hanno fatto più incassi della tua intera fottutissima Virginia?» ora stava perdendo le staffe. La vista dello sceneggiatore con la testa china tra le mani, poco convinto delle responsabilità da assumersi, gli stava mandando il sangue al cervello.

«Senti, io non dico che sputtanerò l'intera produzione. Dico solo che mi sento di merda a fare quello che mi si chiede. Non so se reggerà a lungo, questa menzogna.»

«Oh, e sentiamo un po' perché e soprattutto per colpa di chi questa... menzogna non dovrebbe reggere.» Aveva deciso di tirare in ballo la porcata solo in caso di estremo pericolo, come con le uscite di emergenza. Voleva essere costretto a farlo, però.

Lo sceneggiatore continuò a tenersi la testa tra le mani e a farla ciondolare all'ingiù.

«Ti ho salvato il culo più di una volta, Tex-Mex. Anche a me è costata fatica la menzogna!» sbottò il regista imboccando l'uscita di emergenza.

Lo sceneggiatore finalmente alzò la testa e lo guardò molto contrariato.

Un paio di anni prima, dopo essersi scolato otto boccaloni di birra in un pub e avere rimorchiato una tettona, lo sceneggiatore era andato via con i razzi ai piedi, ansioso di farsi la rimorchiata e anche più. Peccato che fosse troppo ciucco e che non avesse controllato il sedile che stava abbandonando con foga. Là, in bella vista, lo script "strettamente confidenziale" della nuova avventura di Lazlo Corallo non chiedeva altro che di essere letto da chiunque. Come in una pellicola del detective del panama, però, non era stato chiunque a trovare la preziosa miniera di informazioni, ma uno stronzetto senza scrupoli che aveva rivenduto a una rivista scandalistica molto letta il prezioso script. Il giorno dopo, il giornale aveva titolato a grandi lettere:

"SCENEGGIATORE SBRONZO LASCIA IL NUOVO LAZLO CORALLO IN UN PUB".

Seguivano dettagli che la produzione aveva faticosamente tenuto segreti fino a quel momento. Quegli elementi che in genere rappresentano l'unica novità in una serie altrimenti di per sé ormai stantia.

Quando il responsabile di quel casino era stato svegliato a suon d'insulti dal regista, a sua volta svegliato a suon di bestemmie dal produttore, aveva istintivamente guardato alla sua sinistra. Due tette gigantesche gli avevano rinfrescato la memoria, ancora annebbiata dai fumi alcolici. Dopo aver continuato per qualche minuto con epiteti che sfioravano il genio creativo, il regista lo aveva però rassicurato di avere avuto la prontezza di raccontare al produttore tutt'altra versione. Questa.
La sera prima, lui e lo sceneggiatore erano stati insieme a farsi una birra e quando erano usciti, due tipi in sella a uno scooter e con la faccia coperta dalle visiere scure dei caschi erano arrivati alle loro spalle. Quello di dietro aveva allungato un braccio, strappando via la cartella dello sceneggiatore, con il prezioso contenuto. Questo, ne era certo il regista, aveva conferito alla tragedia quell'alone di tremenda fatalità di cui era stato testimone. Cose che capitano nelle città più violente, dove uno non è più neppure padrone di farsi una birra tra amici.

La storia dell'incuria dello sceneggiatore, garantiva il regista al produttore, era stata evidentemente inventata dalla redazione della rivista che aveva fatto lo scoop. In questo modo occultava la ricettazione del materiale di un furto, faccenda su cui si sarebbero comunque tutelati legalmente nei confronti del giornale. Che, a detta del regista, non poteva provare che il materiale non provenisse proprio da un furto: la loro parola contro quella di un ragazzino molto probabilmente ciucco anche lui, che dalla faccenda aveva ricavato – e il regista di questo era certo – pochi spiccioli.

Se da un lato la frottola aveva evitato almeno al momento l'esilio dello sceneggiatore in Groenlandia a scrivere di foche, dall'altro non aveva impedito che i particolari della trama segreta facessero il giro del mondo grazie alla Rete. In poche ore, tutti sapevano che dopo tredici anni di onorata carriera, Lazlo Corallo correva il rischio di essere coinvolto in uno scandalo per colpa di una donna (quella di sabbia del titolo) e di un passato non proprio archiviato. Un immenso scandalo che aveva atteso l'età matura del detective e la sua rispettabilità per rivelarsi. Fortunatamente per loro, in quella fase lo script non prevedeva nel dettaglio i particolari, ma la sorpresa era rovinata.

Il film non aveva avuto il successo sperato per colpa, almeno di questo era convinto il produttore, di quella fuga di notizie. Come se la segretezza di una trama conferisse vigore a una serie ormai stanca come il protagonista. Il regista aveva abbozzato, impegnandosi – come del resto da contratto – in un penultimo capitolo, Rosso o nero, detective Corallo?, che non era stato per niente male, e un ultimo capitolo, quello che prevedeva la morte di Lazlo Corallo.

A quel punto, a scanso equivoci, tutta la produzione aveva deciso che non sarebbe stata la morte del protagonista la rivelazione del film. Anche perché la pellicola non sarebbe uscita in contemporanea mondiale, ma in un primo tempo solo negli Stati Uniti e solo dopo qualche giorno nel resto del mondo. Puntare sulla segretezza dell'epilogo non era saggio. Per quell'ultimo film, dovevano contare sui particolari, sul plot, sulla recitazione, sulla scenografia, sulla fotografia, insomma su tutto tranne il finale. L'accoglienza statunitense era stata tiepida. Persino le fan dell'attore protagonista sembravano essersi raffreddate nei confronti del loro beniamino, per la verità ormai vecchiotto. Contavano però sull'Europa, e in particolare sull'Italia dove, grazie a nutriti club dedicati all'ispettore del panama, i fan erano piuttosto ansiosi dell'evento. Per questo la troupe al completo era volata in pompa magna a Roma, ben consapevole che se la stampa li avesse massacrati, il pubblico li avrebbe sostenuti grazie alla presenza dell'interprete principale.

«D'accordo, farò come dici», disse stancamente lo sceneggiatore al regista che ancora lo guardava minaccioso. «In fin dei conti, ho lavorato come un matto su quel soggetto. Se lo avessi lasciato così com'era non avremmo potuto ricavarci più che tanto» confermò l'iniziale asserzione, convincendosi da solo che quanto appena detto corrispondesse sostanzialmente alla verità.

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