EDITHAbbracciai quella coperta consumata per proteggere il mio corpo dal freddo dell'inverno e marciai in fila indiana verso il parcheggio esterno del locale. Venti corpi lividi procedevano in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto, attendendo il proprio turno per salire sul furgone nero. Guardai di sfuggita la luna, chiedendomi se nel cielo esistesse un luogo per noi anime perdute. Potevamo davvero definire vita, un'esistenza privata della sua identità? I battiti all'interno del mio petto mi ricordavano ogni giorno che il mio corpo continuava a funzionare e allora perché sentivo di non appartenere più alla realtà? La mia anima resisteva allo scorrere del tempo, alla violenza che respiravo ogni giorno, a ogni briciolo di dignità strappato via dalle mani dei miei padroni.
La fila si mosse e la ragazza davanti a me entrò dentro il veicolo, sedendosi di fianco ai finestrini oscurati. Consegnai a uno dei magnacci il guadagno della serata e mi accomodai sui sedili gelidi, attendendo di tornare a "casa".
Le risate provenienti dalle prime file mi ricordavano ogni giorno quello che eravamo: semplicemente un mondo spaccato a metà. C'era chi aveva tutto e chi non aveva più niente, chi poteva parlare e chi non poteva permettersi neanche un respiro più pesante, chi dormiva su un letto comodo e chi era costretto a riposarsi su uno squallido materasso adagiato su un pavimento ricoperto di polvere. C'era chi aveva diritto di esistere e chi quel diritto lo aveva perso ormai da tempo.
Appoggiai la testa al finestrino, guardando al di fuori di esso e salutai le luci provenienti dalla città. Centinaia di alberi ci salutarono, inghiottendoci nell'oscurità più profonda. Una strada sterrata, conosciuta da molti, ma ignorata da tutti; un capannone abbandonato, costruito e gestito da qualcuno, ma dimenticato dal resto del mondo, ci stava aspettando.
Oltrepassammo il portone arrugginito e barcollammo verso il dormitorio con i piedi indolenziti a causa dei tacchi indossati per tutta la sera. Una stanza, con una ventina di letti stesi a terra e un bagno con alcune docce quasi sempre prive di acqua calda era tutto quello che ci era concesso avere.
Mi gettai sul materasso, attendendo il mio turno per utilizzare il bagno e osservai il soffitto grigio.«Stai bene Edith?»
Guardai la ragazza dai capelli rossi camminare verso di me con un leggero sorriso sulle labbra. Non riuscivo a capire come molte di loro riuscissero ancora a lasciarsi andare a qualche momento di spensieratezza.
Scrollai le spalle e le permisi di stendersi vicino a me, poggiandole metà della mia coperta sul suo corpo quasi nudo.
«Ho sentito che domani arriverà un'altra ragazza.» Disse stringendosi al tessuto caldo.
Conoscevo Kait da due anni, da quando entrambi eravamo arrivati a New York. Eravamo il bianco e il nero, la luce e l'oscurità, ma complici nell'anima. Lei capiva i miei silenzi e io lasciavo che parlasse a ruota libera prima di addormentarsi. Lei mi abbracciava e io ricambiavo alle sue dimostrazioni d'affetto con uno sguardo meno buio del solito. Avevamo trovato la nostra sintonia, un modo per comprenderci.
«E questa volta tocca a te.» Concluse la frase, tornando a guardandomi.
Posai lo sguardo su di lei, scuotendo la testa.
«Edith lo abbiamo fatto tutte, sai come funziona: arriva una ragazza nuova e una di noi le sta vicino per tutto il tempo che ne ha bisogno. Le spiega le regole, quello che ci è permesso fare e quello che invece può metterci nei guai.»
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Soul Hostage
RomanceRhys Moore è un giovane avvocato di venticinque anni, destinato a prendere le redini dello studio legale fondato da suo nonno nel 1973 a New York. Un ragazzo benestante con una vita apparentemente perfetta, ma che in realtà nasconde crepe e conflitt...