Capitolo 18 - Christmas Time.

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RHYS

Un Natale al sapore di biscotti e felicità o almeno, questi erano i ricordi che avevo di quella festività che da bambino attendevo con trepidazione per tutto l'anno.

I bisbigli dei miei genitori mentre scendevano mano per la mano in soggiorno per posizionare i regali sotto l'albero di Natale, la scia di farina portata fino al camino, le scarpe sempre lucide di mio padre macchiate di bianco, i biscotti mangiucchiati e il bicchiere di latte finito adagiati sopra il davanzale, io che a otto anni mi svegliavo e mi sedevo in silenzio sulle scale della casa per vederli ballare.
Il vialetto della villa colmo di macchine, la staccionata addobbata con filamenti rossi, il brulichio di persone tra il soggiorno e la cucina, il grande pupazzo di neve che ci salutava dal giardino innevato, l'odore di zenzero proveniente dal forno, i terrazzi illuminati da una cascata di stelle dorate, la lunga tavola rossa ricoperta di pietanze natalizie, con il passare degli anni diventarono solo immagini appartenenti a un passato ormai lontano.

Da anni mi svegliamo con l'umore di chi sapeva che sarebbe stata l'ennesima recita di una famiglia rovinata. Non festeggiavo con mia madre da ben tre anni. La chiamavo ogni mattina e lasciavo che mi cantasse "It's beginning to look a lot like Christmas" come era abituata a fare quando ero bambino. La guardavo tramite lo schermo del telefono mentre apriva il regalo che le avevo spedito, immaginando di averla di fronte a me e di abbracciarla senza considerare i chilometri che ci separavano.

Non c'erano altri veicoli parcheggiati di fronte al nostro ingresso, non si udivano risate o canzoni intonate dopo il terzo bicchiere di eggnog, non vi erano involucri di carta sul pavimento; tutto quello che era rimasto erano quattro sedie tristemente occupate e avvolte dal silenzio più inquietante.

Ma in mezzo a quei volti cupi, ve ne era uno che non aveva mai smesso di illuminarmi le giornate.

Con la nascita di Lily si era riacceso in me lo spirito natalizio; una fiammella che continuava a bruciare grazie alle risate di una innocua bambina di sei anni.

Avevamo la nostra routine, insostituibile e immutabile: ogni anno la accompagnavo a scegliere gli addobbi per il grande albero posizionato al centro del nostro soggiorno, la prendevo tra le mie braccia sollevandola per permetterle di raggiungere il punto più alto dell'abete, l'aiutavo a scrivere la letterina dei regali e mi perdevo nel suo sguardo gentile.

Mio padre e Janette non avevano mai preso parte ai preparativi, troppo impegnati con i loro casi e con i turni in ospedale.

C'ero io quando Lily si svegliava la mattina correndo giù per le scale per vedere se il grande omone vestito di rosso aveva mangiato i biscotti, che lei stessa aveva preparato con l'aiuto delle domestiche.

C'ero io a vedere i suoi occhi brillare, quando me la ritrovavo sul letto a saltare e urlare perché i folletti le avevano portato tantissimi regali.

C'ero io a ballare e a cantare con lei per tutto il giorno, a farla giocare con la neve, a farle credere che quello era davvero il giorno più magico dell'anno.

Così, quella mattina, mi svegliai tra le onde di un materasso mosso dal peso di un corpo esile.

«Rhys! Rhys svegliati!»

Finsi di dormire e di rigirarmi dall'altra parte del letto, mentre lei continuava a cadermi addosso.

«Babbo Natale ha mangiato i miei biscotti, svegliati è tardi.»

Aprii leggermente gli occhi e diedi uno sguardo alla sveglia sul mio comodino. Erano appena le otto del mattino, troppo presto per me, ma troppo tardi per una bambina che non vedeva l'ora di coinvolgermi in un milione di attività.

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