Capitolo 30 - Nobody move.

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Sarò arcobaleno o il ramo che si spezza
dopo l'ennesima tempesta?

COLIN

Avevo ritrovato mio padre.
In un attimo le nostre strade erano tornate a intersecarsi tra di loro, riscoprendo la meraviglia di un legame rimasto per troppo tempo incastrato in una solitudine scalfita dallo stesso dolore.
Quella piccola casa era tornata ad accogliere il sole e il freddo aveva iniziato ad abbandonare la spazio circostante.
Potevamo sconfiggere i demoni del nostro passato e guardare finalmente al futuro; potevamo di nuovo sederci alla stessa tavola parlando dei nostri problemi; potevamo riscoprirci e smettere di essere due sconosciuti.
L'amore divenne la cura per ogni mio attacco di panico e così quel pomeriggio, dopo aver pensato per l'ennesima volta di morire sul pavimento del mio soggiorno, tornai a respirare e a credere che esistesse davvero una strada diversa per ricominciare a stare bene. Una strada che non coinvolgesse l'alcool, una strada non più al sapore del sangue e dei lividi, ma di comprensione e carezze.
Ma se una parte di me sentiva di aver messo i primi tasselli verso un futuro sereno, l'altra continuava a pensare al ragazzo moro perso tra le strade di New York. Erano passate quasi due ore da quando avevo visto mio padre lasciare la nostra casa per dirigersi verso la villa dei Moore e a ogni battito delle lancette sull'orologio l'ansia saliva, facendomi dubitare della mia stessa intuizione.
Pregai che non si fosse ritrovato incastrato tra le mani dei collaboratori di Frederick e rimasi fermo davanti a fornelli per minuti e minuti, non riuscendo a pensare alla cena che avrei dovuto preparare. Premetti per la ventesima volta l'indice sul display nero, sperando di leggervi un messaggio, ma quando vidi la nostra foto di famiglia libera dalle notifiche, lo scagliai sul ripiano della cucina dirigendomi verso il frigorifero.
Alla fine optai per uno di quei pasti pre cotti e surgelati da riscaldare nel microonde e mentre il buio al di fuori della finestra calava sempre di più, la voglia di versarmi un bicchiere di birra iniziò a farsi strada dentro di me.
Indugiai sulla bottiglia aperta all'interno del frigo, ma sul punto di afferrarla il rumore di una macchina al di fuori del vialetto mi portò ad abbandonare l'elettrodomestico per dirigermi verso la porta.
Mi precipitai all'ingresso, posando tutto il mio peso sulla maniglia e aprii l'uscio, sperando di vedere il volto vittorioso di mio padre.

«Certo che potevi mandarmelo un messagg...» Mi bloccai e rimasi stupito nel vedere un collega del dipartimento di mio padre.

«Ciao Colin, ti ricordi di me?» Chiese l'uomo al di là della porta rivolgendomi un sorriso caloroso.

Osservai il volto con qualche accenno di ruga, cercando di riconoscerlo. La barba rasa, i capelli color cenere e il tono di voce risoluto mi fecero tornare alla mente le volte in cui lo avevo incontrato.

«Thomas giusto? É da una vita che non ci vediamo, come sta Krys?» Chiesi, ricordandomi che da piccolo avevo trascorso molto tempo a giocare a pallone con suo figlio nel parcheggio del dipartimento.

«Stiamo tutti bene Colin grazie! Quanto sei cresciuto.» Constatò squadrandomi da capo a piedi. «Tuo padre è in casa?» Chiese successivamente, guardando oltre le mie spalle.

«É uscito qualche ore fa, doveva fare... una commissione, dovrebbe rincasare a momenti.» Risposi rabbrividendo al freddo proveniente dall'esterno. «Se vuoi provo a chiamarlo, è per una questione di lavoro?» Conclusi, palpeggiando la tasca dei pantaloni vuoti.

«Diciamo di sì, ho urgenza di vederlo.» Scrollò le spalle, stringendosi nel giubbotto cachi.

Il timer del microonde prese a suonare istintivamente e solo allora ricordai di aver lasciato il cellulare sul piano della cucina.

«Puoi aspettare un attimo?» Accolsi il suo sì e mi precipitai a recuperare il telefono ancora privo di notifiche.

Tornai in soggiorno a passo svelto cercando tra la rubrica il numero dello sceriffo, ma prima che potessi avviare la chiamata, il suo nome comparve sul display.

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