Capitolo 12 - Revelations.

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RHYS

«Mandami un messaggio quando arrivi a New York.»

Le afferrai una mano, costringendola a finire tra le mie braccia.

«Tornerò presto, promesso.»

Odiava i saluti, odiava vedermi andare via da casa senza sapere quando mi avrebbe rivisto di nuovo. Da quando ero entrato a Yale, riuscivo a vederla soltanto durante le festività e con il crescere dei nostri rispettivi impegni la situazione era andata solo a peggiorare.

Mi voltai un'ultima, rivolgendo un rapido sorriso alla coppia prima di entrare in macchina e uscire dal vialetto.

«Potevo guidare anche io.» Sbuffò il biondo sbadigliando rumorosamente.

«Voglio arrivare vivo a casa Colin e non dentro una bara.»

«Sei sempre il solito esagerato, ho solo bisogno di bere un caffè.»

«Ne hai bevuto uno neanche un'ora fa.» Gli ricordai.

Erano appena le nove del mattino quando mi ritrovai a percorrere le strade di Rittenhouse Square sotto un cielo grigiastro, che presagiva l'arrivo imminente della prima nevicata dell'anno. Mi soffermai a osservare il via vai proveniente dal bar, in prossimità del parco cittadino dove le risate dei bambini si mescolavano all'aria ormai natalizia e salutai quel posto con malinconia.

Parlare con mia madre mi aveva fatto aprire gli occhi su tante cose: avevo impostato la mia vita su una gara impossibile da vincere, su una battaglia già persa in partenza. Quella che un tempo doveva essere una maratona per raggiungere i miei sogni, era diventata un inutile inseguimento.
I miei occhi non puntavano più al traguardo, ma solo alle spalle di mio padre che continuavano ad allontanarsi sempre di più da me.

Il bene che mi ostentavo a voler scorgere in lui era arrivato al capolinea. L'uomo che mi aveva cresciuto non esisteva più, dovevo accettarlo e vederlo per quello che realmente era: uno sconosciuto.

Avevo trascorso la notte ripensando alle parole della donna che mi aveva cullato e solo un punto era rimasto incerto nella mia mente sovraffollata di pensieri: era o non era capace di commettere azioni cattive?

Mentre svoltavo per prendere l'uscita verso Manhattan il volto dell'unica persona capace di rispondere alla mia domanda spazzò via ogni accenno di esitazione: dovevo tornare da lei, al costo di essere sbattuto fuori dopo due secondi da quel locale.

Giuro che se proverai un'altra volta a entrare in questo posto, farò in modo che tu non possa più alzarti la mattina.

I suoi occhi continuavano a vedermi come un nemico; eppure, io avevo la certezza che il suo atteggiamento fosse solo un riflesso della paura che teneva dentro. Troppo fragile per permettere alle sue emozioni di uscire, troppo forte per arrendersi a quel mondo crudele.

Parcheggiai fuori dalla casa di Colin e risvegliai la bella addormentata dandogli un leggero colpo sulla testa chinata verso il finestrino.

«Sicuro di non avere il teletrasporto?» Mi domandò incredulo.

«Sicuro di non soffrire di narcolessia?» Lo presi in giro, mentre scendeva dallo macchina stirandosi come un contorsionista.

«Ci ​​vediamo con gli altri una sera di queste?» Chiese stringendosi nel piumino e appoggiandosi al finestrino aperto.

«Ma questa volta ci pensiamo noi a organizzarla.»

Si allontanò alzando le mani al cielo e attesi che rientrasse, prima di immettermi nuovamente nel traffico.

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