Capitolo 14 - You Can't Save Me

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Rhys.

Tutto era andato esattamente secondo i miei piani. Il lunedì successivo a quel fine settimana tormentato, rimasi da solo nell'ufficio di mio padre a compilare una lista infinita di documenti. L'uomo aveva lasciato la casa all'alba, stravolgendo la propria routine pur di non incontrarmi. Non una parola, neppure uno sguardo, il silenzio che si era creato tra di noi continuava a sorvolare sopra le nostre teste, rendendoci due perfetti estranei.

Oltrepassai le scrivanie degli altri dipendenti, resistendo alla tentazione di mettere a tacere quel mormorio che si era creato al mio arrivo. Avevano visto John andare via con Adam per recarsi in tribunale, lo avevano visto lasciare un dossier pieno di fogli a Margot, ordinandole di consegnarmelo, avevano visto il mio sguardo pieno di risentimento combaciare perfettamente con la rabbia stampata sul suo volto.
Eravamo complici dei nostri rispettivi stati d'animo, due ordigni attivati ​​a distanza ed esplosi all'improvviso.

Entrai nella stanza, abbassando le tapparelle per mettere fine a quel gioco di sguardi e mi avvicinai alle vetrate posando lo sguardo su Central Park.

«Un giorno questa vista sarà tua.»

La promessa di mio nonno era svanita nel momento esatto in cui il suo cuore aveva smesso di battere a causa di un infarto improvviso e così da un giorno all'altro, la Moore Law Office era passata da essere una seconda casa a un luogo off limits .
Nelle giornate più tranquille mio nonno mi permetteva di saltare la scuola per accompagnarlo a lavoro. Restavo seduto sul tavolo dei meeting a fare i compiti e durante la pausa pranzo mi accomodavo sulle sue gambe e lo ascoltavo parlare dei suoi casi.

Nei suoi occhi avevo sempre visto passione, amore, dedizione, orgoglio. Tutto quello che mio padre non era mai riuscito a trasmettermi.

Chissà cosa penserai di me nonno, chissà se da lassù riesci a sentire i miei pensieri.

«Posso?»

Mi voltai e vidi Margot venirmi incontro con alcune cartelline strette tra le braccia. La seguii fino al tavolo per le riunioni e ci mettiamo seduti l'uno di fronte all'altro.

«Quindi devo solo verificare che i documenti siano conformi a tutti i requisiti legali?» Chiesi per conferma.

«Sì e devono essere pronti entro i tempi stabiliti.»

«Ossia?»

La ragazza dai capelli corvini tirò sulla manica della camicia bianca, dando una rapida occhiata all'orologio stretto al polso sulla mano destra.

«Direi che hai esattamente...» Attese lo scoccare delle otto precise. «Sette ore, contando la pausa pranzo.»

Presi i documenti, portandomeli sotto agli occhi e mi lasciai andare a un sospiro ironico. Nonostante la sua assenza, mio ​​padre aveva trovato il modo per farmi uscire di testa ugualmente. Quelle erano mansioni per le quali servivano giorni, per non dire settimane.

«Posso farti una domanda?»

Riportai l'attenzione su Margot, che nel frattempo si era alzata, riponendo la sedia in ordine.

«Ho visto Adam stamattina e aveva alcuni ematomi sul volto. Non è un caso che li abbia anche tu vero?»

Il taglio sul labbro si era rimarginato velocemente, così come i gonfiori. L'unica cosa che era rimasta era la costellazione di lividi che non ero riuscito a nascondere.

«Mi avevi detto di non fare risse in ufficio o sbaglio? Ho mantenuto la promessa.» Scherzai.

«Il mio era più un consiglio, speravo lo seguissi anche al di fuori dello studio.»

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