Capitolo XI

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Mi svegliai di soprassalto.

Crono sapeva. Eravamo nei guai.

Il colpo di un cannone mi fece cadere dal letto.

Anche molti altri dell’infermeria si svegliarono e guardarono terrorizzati fuori dalla porta.

Iride entrò allarmata e disse: «Restate tutti qui. Astrid, so che sei debole, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto»

Non aspettò una mia eventuale risposta; mi prese per un braccio e mi trascinò fino all’entrata della tenda.

Fuori infuriava la battaglia.

C’erano semidei, dei, spiriti, titani e chi più ne ha più ne metta.

Erano nettamente superiori a noi.

«Dobbiamo fare qualcosa» disse Iride.

«Contro un simile esercito se tento qualcosa contro tutti muoio. Sono troppo debole...»

Mi abbassai e trascinai con me Iride, abbastanza in fretta da evitare un semidio mezzo morto.

«Chi sono i più pericolosi?» mi chiese.

Una voce rispose al mio posto.

«Astrid! Traditrice!»

Porfirio mi scagliò contro una sfilza di fulmini, probabilmente presi a Zeus.

Le scosse mi colpirono, ma non mi fecero nulla.

Ad Iride bastò una sola saetta e fu fuori gioco.

Porfirio rise e disse: «Non avete speranza di liberarvi di noi! Siamo più potenti, più numerosi… e più in forma»

Cercò di infilzarmi con una spada, ma schivai prontamente il colpo.

Dovevo inventarmi qualcosa.

Un altro attacco che schivai.

Poi mi venne un’idea suicida.

Focalizzai tutto l’esercito nemico. Solo quello nemico.

Mi concentrai e mi immaginai il Tartaro.

Mi bastò un attimo; io e tutto il battaglione nemico ravamo nel Tartaro.

Qual è la parte suicida?

Non avevo forze per tornare indietro e lo sforzo, come la prima volta, mi fece svenire.

-

Mi svegliai in una stanza fin troppo famigliare.

Ci ero stata spiritualmente qualche ora prima, sempre che fossero passate ore e non giorni.

Mi guardai intorno.

Non era la stessa camera dove era rinchiuso Zeus, ma era identica a quella; soffitto di pietra verniciato di bianco, quadri di morte appesi ai muri…

La porta si aprì e un titano entrò.

Era evidente che non era mio padre, ma era anche evidente che doveva essere un suo parente.

«Chi sei?» chiesi con la gola secca.

«Atlante, e ti avverto; quello che ti sta per succedere non ti piacerà, nipote»

-

Non mi sarebbe piaciuto nemmeno se avesse detto il contrario, e lo capii quando il titano aprì la porta e fece vedere una stanza di tortura.

Non me la sento proprio di descrivere cosa c'era dentro, ma non era niente di bello.

Mi trascinò dentro solo in parte; essendo l'entrata contornata da due colonne io mi aggrappai ad una di esse.

Astrid - La liberazione degli deiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora