Capitolo VI

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«Dunque questo è il campo di Apollo?»

«Sì. Dovremmo prepararci»

Ci avevamo messo cinque giorni ad arrivare al campo in questione, quando a piedi ci avremmo messo anche diverse settimane.

Poseidone aveva ripetuto che ci avevamo messo troppo tempo, ma non eravamo potuti andare più in fretta; il viaggio nell'oltretomba sarebbe stato più veloce, sì, ma Ade non aveva più il controllo degli inferi, quindi era impossibile usare questo metodo.

Anche con Polibote fuori gioco avevamo escluso il viaggio per mare; c'era Oceano, e non ne valeva la pena.

Quindi usammo l'unica carta rimasta; il teletrasporto.

Il problema? Ero io che teletrasportavo, e inevitabilmente alla fine della tappa svenivo per lo sforzo.

Alla fine, comunque, eravamo arrivati al campo.

Vedere cosa succedeva lì era agghiacciante; anche escludendo che gli semidei erano tutti incatenati tra di loro, sentirli suonare era terribile, ma non perché fossero incapaci, ma perché suonavano canzoni tristi.

Vi direte; e che sarà mai?

Ascoltate cento canzoni tristi che non si sovrappongono e vedremo se ve lo chiederete ancora.

«Vedete Apollo?» chiese Iride.

Nessuno rispose.

Poi Poseidone disse: «Astrid, non è che magari puoi individuare l’aurea divina? Così trovarlo sarebbe una passeggiata»

Non lo sapevo, ma valeva la pena tentare.

Chiusi gli occhi e focalizzai con la mente tutto il campo.

Decine di lucine iniziarono a brillare, poi una più forte delle altre richiamò la mia attenzione.

Guardai dov’era e aprii gli occhi; era nel capannone principale.

«Credo sia laggiù. Potrebbe essere un gigante, ma di certo quell’aurea è più potente di quella degli altri» dissi.

«Non ha senso aspettare. Dai, andiamo»

-

La porta d’entrata era ben più inquietante di quanto sembrasse; era di un materiale strano.

«Devono aver fuso centinaia di catene per poter ottenere questa porta» osservò Ade.

«I nostri poteri, sempre che ce ne siano rimasti, saranno inutilizzabili lì dentro. Che mi dici dei tuoi?» chiese Poseidone.

«Non lo so, ma probabilmente non funzioneranno neanche i miei»

Tutti rimasero zitti, poi dissi: «Sono solo queste porte ad impedirci di usare i poteri?»

«Sì»

«Allora qualcuno dovrebbe stare qui a smontarle, almeno poi saremo liberi di usare i poteri»

Tutti si guardarono, e io arrossii. Non prendevo mai le redini della situazione in questo modo.

«Buona idea. I figli di Efesto e di Atena restino qui, inclusi Nico e Percy. Gli altri libereranno gli semidei, mentre io, Ade e Astrid ci occupiamo dell’occupante di quella capanna» disse Poseidone.

Ci dividemmo, e io seguii i due dei.

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Il fatto che non c’erano guardie mi turbò.

Come avevo detto, i miei poteri non funzionavano, anche se riuscivo sempre a vedere l’aurea divina.

I due dei avanzavano sicuri, ma io non lo ero tanto quanto loro.

Alla fine raggiungemmo il capannone.

Ade restò di guardia, permettendo a me e a Poseidone di entrare.

Non c’era nessuno neanche lì.

Sentii la porta esterna cadere a terra, e i poteri mi tornarono subito.

Usando la lingua ammaliatrice dissi: «Mostratevi»

Interruppi immediatamente il legame con cui osservavo le auree, poiché erano aumentate a dismisura.

Ora, al posto del vuoto, c’era un dio incatenato, e attorno centinaia di figure tremolanti simili a spiriti.

Una voce familiare disse: «Vi aspettavamo»

Il capannone parve alzarsi per lasciar entrare una figura fatta di oscurità pura.

Il corpo era oscuro ma magmatico e conteneva anime; lo vedevo con l’occhio della mente.

Cercai di arretrare verso l’uscita, ma gli spiriti ci avevano circondato.

Poco dopo portarono con noi anche uno svenuto Ade.

La figura disse: «Sapevamo che sareste venuti, ma ormai è tardi. Crono e Porfirio stanno arrivando, Astrid, e tu finirai prigioniera con tutti gli altri»

Poseidone mormorò: «Chi è?»

«Tartaro»

-

Poseidone svenne subito accanto ad Ade, e io rimasi da sola a fissare Tartaro.

«Ma non dovresti stare nel Tartaro, te?» chiesi.

«Mancano degli dei affidabili che tengano d’occhio i prigionieri, quindi a questo campo ci ho pensato io» rispose Tartaro.

«Come sapevate che saremmo arrivati?»

Tartaro, nel suo insieme di magma e oscurità, parve farsi inquieto e non rispose.

Sorrisi: «Non lo sanno. Crono e Porfirio non sanno che siamo qui, e tu non li hai ancora avvertiti. Ma sappi che stai facendo bene»

Dissi quest’ultima frase con la lingua ammaliatrice, poi continuai: «Loro sbagliano. Siamo noi quelli nel giusto. Tu ci salvi dai mostri, sei nostro amico, non amico loro»

Tartaro non disse nulla, poi disse piano: «Avete ragione… Io vi salvo dai mostri… Ma Gea non sarebbe contenta di vedervi scappare, quindi resterete qui»

Sbuffai, poi ebbi un’idea.

Mi sedetti accanto ai due dei e gli diedi la scossa.

Si svegliarono all’istante e dissi: «Ho un’idea ma realizzandola mi ammazzerei, quindi ho bisogno di voi»

Loro mi guardarono e gli sussurrai il piano.

Annuirono di buon grado, così ci prendemmo per mano, poi mi concentrai.

In un batter d’occhio ci teletrasportammo nel tartaro.

Il ruggito di Tartaro mi distrusse i timpani,anche se ero stanza e quindi non ci sentivo bene.

Con le forze rimaste tornai indietro, e non ebbi il tempo di pensare ad altro che caddi nell’oblio.

Astrid - La liberazione degli deiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora