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È il momento. Stanotte porrò fine alla mia sofferenza, a tutte le prese in giro e le delusioni che mi porto dietro da una vita. Ormai le sento cucite addosso, come se facessero parte di me e non ho più la forza per liberarmene, tanto sono radicate in profondità. 

La mia decisione farà tirare un sospiro di sollievo a tutti quelli che mi conoscono, per questo motivo ho deciso di non lasciare alcuna lettera d'addio. A nessuno importa sul serio di me e sinceramente non sento l'esigenza di lasciare ricordi. 

Ho pianificato tutto da mesi in modo da avere ogni cosa sotto controllo, il mio gesto non è avventato, una di quelle decisioni di cui ci si pente perché prese alla leggera, no, io non ho dormito diverse notti per pensarci.

"Dovevi morire", "Non capisco perché respiri ancora", "Sei orrenda e non dovresti mangiare". Le loro voci fanno casino dentro di me, sovrastano ogni cosa. 

Afferro la felpa e mi guardo un'ultima volta attorno. 

Non rivedrò mai più quei tappeti orribili che mia mamma ha deciso di tenere, non rivedrò mai più la palla di pelo che dorme sul divano ignaro di cosa sta accadendo, e non rivedrò più le due persone al piano superiore, coloro che più mi hanno fatto male. 

In questo momento staranno dormendo sfiniti da un'altra giornata lavorativa, all'oscuro delle intenzioni di loro figlia, quando si sveglieranno io non ci sarò e così nei giorni a venire. In un certo senso mi sto facendo un favore. Mi lascerò alle spalle tutto il dolore e smetterò di soffrire. 

Chissà se tutti quelli che si sono suicidati hanno provato lo stesso senso di leggerezza che provo io adesso, chissà se anche loro si sono trovati a fare questi pensieri inutili. 

Prima di aprire la porta di casa do una rapida occhiata al mio riflesso nello specchio. L'immagine è il fantasma di ciò che ero, persino le iridi verde smeraldo ora appaiono prive di qualsiasi luce e colore. Le occhiaie sono accentuate dalla magrezza, ma nessuno se n'è accorto, o forse hanno fatto finta di non notare il mio rifiuto per il cibo. 

Esco chiudendo piano la porta in modo da non svegliare nessuno e pregando che Kimba, il gatto, non abbia sentito della mia fuga. Nessuno deve vedermi in giro a quest'ora, non mi va di mandare in fumo il piano dopo aver speso tempo affinché possa andare tutto senza intoppi di alcun genere.

Nel giro di venti minuti raggiungo la destinazione: il condominio più alto della città. Osservare i piani che si ergono verso il cielo mi dona un senso di vertigine e di potenza indescrivibile, l'ho adocchiato un giorno che volevo cambiare il percorso di corsa e mi è stato chiaro sin da subito il segnale. Rubare le chiavi per duplicarle è stato pressoché semplice, sono tornata più volte nella speranza di vedere qualcuno uscire, poi il desiderio si è fatto concreto. Una signora anziana aveva bisogno per portare la spesa nel condominio a causa di un guasto all'ascensore, perciò le ho preso il mazzo e ho finto di essermelo scordato per poi riportarlo il giorno seguente.

Ora sono le due di notte e per fortuna non c'è anima viva. So esattamente cosa fare, l'ho già provato svariate volte per accertarmi che funzionasse. 

Accedo all'edificio con le chiavi e salgo le scale fino a ritrovarmi davanti una porta verde consumata, a questo punto tiro fuori una forcina e con gesti studiati mi ritrovo finalmente sul tetto. Ho fatto tutto come al solito, ormai per me è semplice intrufolarmi qui. 

L'aria della notte è particolarmente fredda e sembra introdursi sotto alla felpa accarezzando le mie ossa. L'oscurità tutt'attorno mi fa desistere per un attimo, prendo tempo avanzando qualche passo. La verità è che ho sempre avuto paura dell'altezza, ma ultimamente desidero solo poter volare, ogni incubo viene inevitabilmente azzerato dalla realtà più spaventosa. Proprio per questo ho scelto di andarmene in questo modo, vincendo così una delle mie più grandi paure in assoluto e concedendomi un'ultima soddisfazione. Da quassù posso vedere una parte di città e le luci sono piccole e lontane tanto da sembrare stelle. 

Mi avvicino al cornicione e prendo un profondo respiro per infondermi coraggio. Le mani così come il cuore tremano, ma nonostante questo scavalco velocemente il parapetto, poi faccio due passi laterali riuscendo a restare in equilibrio per miracolo. Non so se riuscirò a buttarmi, ho paura dell'impatto col suolo, di quello che verrà dopo, di quello che diranno di me... fanculo, non è il momento per i ripensamenti, so ciò che devo fare e lo farò. Metto il piede sinistro fuori dal cornicione, penzola nel vuoto sotto di me, un solo passo completo e finirà tutto.

Appena qualche secondo prima della decisione fatale un rumore mi fa trasalire. 

Non c'era nessuno, come è possibile? 

Sento qualcuno strattonarmi il braccio destro con violenza e vengo trascinata indietro, lontana dalla ringhiera. 

Un profumo dolce mi avvolge, la mia schiena aderisce perfettamente al suo petto infondendomi una sensazione di protezione.

Mi sembra di essermi risvegliata da un lungo sonno e in tutta sincerità non so se essere arrabbiata o sollevata. 

Cosa accadrà ora? La mia vita sarà lo stesso schifo di prima?

Ancora sconvolta sento la ragione venire meno e le gambe cedono sotto il mio peso, seppur minuscolo, la vista si offusca improvvisamente e diventa tutto nero.

Mi accascio contro il mio salvatore senza nemmeno aver visto il suo volto e spero invano che sia tutto finito. Vorrei essere lasciata in pace, avere il diritto di morire per poter essere libera, ma nemmeno questo mi è concesso.

"Eccoti, ti stavo aspettando, su entra." La voce allegra di mia madre mi raggiunge da lontano, sta parlando con un ospite mentre io me ne sto distesa sul letto, con il viso nascosto nel cuscino e rigato da copiose lacrime. 

Nella mia mente rimbombano ancora le parole crudeli di mio padre riguardo all'eccessiva magrezza, così taglienti e affilate da sembrare lame di un coltello. Purtroppo anche mamma pensa che sia un mostro, non manca mai di farmelo notare, la differenza è che quando la frustrazione di papà tocca l'apice non si limita solo alle parole, ma passa ai fatti, e non mi resta altro da fare che subire i suoi colpi, senza cercare di opporre alcuna resistenza, altrimenti sarebbe molto peggio, come ho già potuto sperimentare più volte.

"Come sta tua figlia?" si interessa l'ospite, animato da una vivida curiosità.

"Lo sai come sono gli adolescenti... se ne sta sempre per conto proprio e non dà mai una mano. È soltanto un peso per me, una completa delusione. Non ho mai provato così tanta vergogna in vita mia, quanto quella di avere una figlia come lei."

La frase mi investe con una violenza e una crudeltà tali da lasciarmi agonizzante, si insedia nella mia mente, nella quale continuano a ripetersi come un disco rotto quelle parole, lacerandomi l'anima.  

Ricominciare da meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora