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«Pronta per il nostro viaggio di maturità?» esclama Arya battendo le mani come una bambina felice.

«Si, assolutamente!» rispondo con entusiasmo.

Sono contenta che per una volta abbia rispettato la mia volontà di non parlare del biglietto, mi lancia certe occhiate che mi fanno intuire che l'ha letto e che è preoccupata, ma nulla di più, ed io la rassicuro con il miglior sorriso che ho.

Il tragitto fino a Rovereto è stato breve, o così mi è sembrato, dato che ho letto tutto il tempo. Quando scendo dal pullman, l'aria gelida mi colpisce in pieno. Mi stringo nel cappotto e sollevo lo sguardo. Davanti a me, immersi nella pace e nella neve, c'è una fila di cottage. Il paesaggio sembra quello di una favola, è estremamente bello e calmo, come se l'impronta dell'uomo non avesse toccato la meraviglia della natura: i rami degli alberi carichi di bianco, il cielo chiaro che si riflette sulle distese immacolate. Tutto appare fermo, sospeso in una bellezza silenziosa, come se il mondo qui respirasse più piano.

Attorno a me, invece, c'è movimento. I compagni trascinano i trolley sul vialetto ghiacciato, le ruote cigolano sulla neve compatta. Qualcuno ride, un altro si lamenta per il freddo, le voci si mescolano creando un brusio costante, contrastando la quiete del paesaggio.

Un brivido mi percorre la schiena. Non so se per la temperatura o per altro. Ultimamente sono più sensibile alle temperature e questo clima mi perfora ogni angolo di pelle.

«Dai vieni», Arya mi prende sotto braccio. Appena varchiamo la soglia, un'ondata di tepore mi avvolge.

Mi ritrovo in una hall calda, con un camino acceso e davanti un divano grigio e un tavolino con sopra varie riviste. Sono in un altro modo, ben distante da quello appena incontrato. Qui dentro, tutto è morbido, confortevole. Fuori, solo gelo e vento.

Prendiamo le chiavi della nostra stanza e saliamo la rampa di scale. Il corridoio è silenzioso, illuminato da piccole lampade e ogni tanto si scorge una poltrona. Quando Arya apre la porta, ci troviamo davanti una camera semplice, ma accogliente.

Due letti con i rispettivi comodini, una piccola scrivania, le pareti rivestite in legno chiaro. Il profumo della resina si mescola all'aria calda che esce dal termosifone acceso.

La mia amica osserva i letti per prendersi quello che più le piace, io invece mi avvicino alla finestra dalla quale c'è una vista mozzafiato: la neve si estende a perdita d'occhio, interrotta solo dagli alberi. Un paesaggio perfetto, quasi irreale.

«Davvero carina» dice ammirata.

Mentre sistemiamo le nostre cose, sento Arya lanciarmi un'occhiata veloce. Fingo di non accorgermene, concentrandomi sul mio zaino come se fosse improvvisamente diventato interessante. Lei sospira piano, quasi impercettibilmente.

«Non hai fame?» chiede con un tono leggero, ma so che sta sondando il terreno. Vuole incastrarmi.

«Non molta», rispondo senza pensarci, stringendomi nelle spalle.

Dal riflesso della finestra vedo che mi sta ancora guardando, la fronte appena corrugata. Poi distoglie lo sguardo e si siede sul letto con un tonfo. «Sai che non mi sfugge niente, vero?» dice con un mezzo sorriso.

Il cuore mi scivola nello stomaco per un secondo. Ma non voglio che insista. «Sei solo paranoica», le rispondo scherzando, dandole una spinta sulla spalla.

Lei ride, ma la sua espressione dice altro. Vedo l'esitazione nei suoi occhi, l'ombra di una domanda che sta per fare ma che alla fine si tiene dentro.

«Dai, andiamo a pranzo prima che la prof ci venga a cercare», dice alla fine, alzandosi di scatto.

Annuisco e la seguo fuori dalla stanza, sollevata. Ma so che non ha smesso di preoccuparsi. Arya vede più di quanto io voglia farle credere.

Ricominciare da meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora