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All'alba del quarto giorno vengo scossa per le spalle, tanto che mi costringo a svegliarmi pensando sia successo qualcosa.

«Tesoro andiamo, voglio portarti a vedere il sole sorgere.» La voce di Arya è morbida, ma io sbuffo nel cuscino, ancora troppo intorpidita per darle attenzione.

«Non mi va» biascico con la bocca impastata dal sonno.

Lei non demorde. «Verranno anche quelli dell'altra classe, non puoi lasciarmi da sola.» Ormai completamente vigile metto i piedi fuori dalle coperte pesanti. Odio questo lato di Arya, riesce a convincermi con poco. «Dammi due minuti per rendermi presentabile.»

I ricordi della sera prima mi investono come un'onda fredda. Il muro tappezzato di fotografie, l'orrore che mi si è attorcigliato nello stomaco, il respiro mancato davanti alla prova tangibile di chi ero. Di chi non voglio più essere. E poi Travor, il suo sguardo quando ha visto le foto. Lo stupore mutato in rabbia, le mani che si muovevano veloci per strapparle via, per farle sparire, come se potesse cancellare il passato con un gesto solo. E il modo in cui voleva proteggermi, tirandomi via di lì.

"Non permetterò che ti si faccia ancora del male." Eppure, il male è dentro di me. Lo porto addosso come un marchio invisibile.

Un brivido mi scivola lungo la schiena. Basta. Non voglio pensarci adesso.

Arya si sta truccando, l'aria soddisfatta, e, mentre mi trascino in bagno, cerco di convincermi che vedere l'alba sarà un buon modo per distrarre la mente. Forse, almeno per un po', potrò fingere che vada davvero tutto bene.

Appena arriviamo al luogo indicato lascio vagare lo sguardo in cerca di una persona in particolare, senza successo.

Arya, che mi conosce fin troppo bene, mi sfiora il braccio. «Magari è solo in ritardo, l'ho invitato.» Non mi aspettavo un gesto tanto dolce da parte sua. Lei non è una che fa grandi discorsi, non mi chiede mai cose che sa che non voglio dire, ma trova comunque il modo di esserci. La ringrazio con un sorriso e alzo gli occhi al blu infinito sopra la mia testa.

Mi siedo tra il fogliame umido del boschetto, il profumo della terra e delle foglie inizia a intrecciarsi con l'aria frizzante del mattino. Attendo paziente mentre intorno lo spazio si riempie di ragazzi che si spingono e ridono.

Il cielo comincia lento a tingersi di sfumature rosa e arancio, gli uccellini si svegliano colpiti dai primi raggi di sole e cantano. L'aria fresca s'infiltra ovunque fino a gelarmi. Lo sento sulla pelle, nelle ossa, fin nelle vene. Poi dei passi dietro di me. Un suono appena percettibile nel fruscio delle foglie, eppure lo riconosco prima ancora di voltarmi. Alzo lo sguardo e trovo gli occhi grigi di Travor.

«È bellissima», la sua voce mi avvolge il cuore e lo stomaco. Non sta guardando il cielo, ma me. Sciolgo la connessione che stavamo costruendo concentrandomi sulle nuvole gialle, il cui colore va scemando. 

Per l'intera durata dell'osservazione i suoi occhi mi perforano, ne percepisco l'intensità fissa sul mio corpo. Perché mai dovrebbe ignorare uno spettacolo del genere?

«Il chiarore dorato dell'alba ti illumina facendoti apparire simile ad una stella e nemmeno ne sei consapevole.» Il respiro mi si blocca in gola. Non posso credere che abbia dato una risposta alla mia domanda mai pronunciata, ma ancora meno al fatto che mi abbia appena paragonata ad una stella. Si sbaglia. Io non porto luce, ma solo oscurità. Per fortuna si alza per scomparire oltre gli alberi, non avrei saputo come replicare.

Durante il tragitto verso il rifugio io ed Arya restiamo in silenzio, con Lonely Heart dei 5 second of summer negli auricolari. Non abbiamo bisogno di parlare, ci basta condividere la musica, un auricolare a testa, lasciando che le note riempiano la distanza tra di noi. È sempre stato così con Arya: una presenza costante, mai invadente, che sa quando ho bisogno dei miei spazi. Siamo le prime ad arrivare al cottage, mentre il resto della classe si è fermata a fare colazione in un café lungo la strada. 

Ricominciare da meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora