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Chiusa la porta di casa faccio un sospiro pesante, infilo il corridoio e salgo le scale. Quasi in automatico vado verso la camera di mia sorella, giro la maniglia ed entro; all'improvviso vengo sopraffatta dal suo profumo ormai lieve.

Il mio cuore piange vedendo che tutto è rimasto esattamente come l'ha lasciato lei, pulito, pronto per quando sarebbe tornata dalla festa quella sera. Ci sono così tanti oggetti che non utilizzerà mai, libri lasciati a metà, disegni mai finiti, niente ha senso qui.

Sento un nodo in gola e ho una voglia matta di urlare. Me la prendo con Maddison, ma anche con me, sono stata una stupida. Come è potuto accadere? Mi avvicino lentamente all'armadio e apro le ante con cautela e silenziosamente, come se lei dovesse piombarmi addosso da un momento all'altro e sgridarmi perché frugo tra la sua roba.

Quando apro il primo cassetto, trovo le magliette e i top, piegati con cura e sistemati in due pile. Il mio petto è scosso da un singhiozzo che mi sforzo di trattenere. I miei genitori non hanno toccato niente, non hanno mai trovato la forza di mettere via le sue cose, in questo modo è come se Maddison dovesse tornare, come se fosse semplicemente in giro per il mondo, e non sotto metri di terra. 

Chiudo piano il cassetto e mi sposto verso il comodino sul quale vi sono pochi oggetti per lei indispensabili. Afferro la collana oro da cui pende il ciondolo di un peperoncino rosso fuoco, gliela aveva regalata una sua amica per il compleanno perché Maddison era così, sempre in movimento, bruciava, ardeva di vita e lasciava un segno in coloro che la conoscevano. Sfioro poi una rosa appassita che pende sopra la mia testa, lo faccio piano, per non rovinarla. Non mi ha mai voluto dire chi gliela avesse regalata, era molto riservata sulle relazioni sentimentali, e ora il segreto se lo è portato nella tomba. 

Mi siedo sul bordo del letto, accarezzando le lenzuola come se lei fosse ancora qui, come fosse stesa sul letto e dovessi confortarla. Era sempre lei a prendersi cura di me, avrei voluto farlo io per una volta e ho finito col fare peggio. Saresti dovuta morire tu. Una frase che mi rimbomba nella testa da un anno, da quel maledetto 22 luglio. Stringo i denti nel tentativo di calmare il mio respiro affannato, a stento riesco a respirare. Devo uscire di qui. Mi accerto che sia tutto in ordine al proprio posto e mi chiudo la porta alle spalle come l'ho trovata. Sto per abbandonarmi contro i cuscini del mio letto quando il suono di una notifica attira la mia attenzione.

Arya: Stasera c'è una festa, mi accompagni?

Sbuffo lasciandomi cadere sul piumone teatralmente. Non ho per niente voglia di prepararmi e tantomeno di uscire per andare ad una festa dove, con molta probabilità, verrò lasciata in un angolino mentre la mia amica infila la lingua nella bocca del primo che capita. No. Faccio per digitare la mia risposta, ma arriva un altro suo messaggio.

Devo incontrare Mason.

Mi ha trovata su insta e vuole vedermi ;)

Uff, okay. Ti farai perdonare, mi devi un favore.

Ancora non riesco a credere di essermi lasciata convincere per l'ennesima volta. Io ed Arya attraversiamo il prato della villa, il vialetto e la campagna attorno sono già affollati.

«Merda, guarda quanta gente c'è.» Arya ride mentre entriamo. La stanza è zeppa di nostri compagni di scuola, stipati in soggiorno e sulle scale, mi chiedo se si stiano davvero divertendo o fingano solamente. 

Le persone ballano e bevono, la musica esce a tutto volume da alcune casse sparse in giro per la stanza. Stretta in questo vestito non mi sento a mio agio, ma Arya mi ha minacciata di mettermene uno come il suo perciò... Cerco di non pensare ai vassoi di stuzzichini sul tavolo, ignoro lo stomaco gorgogliante e sciolgo le spalle, ho bisogno di spegnere il cervello dalla gita, dalla stanza, dal ricordo di quello che è stato. 

Ricominciare da meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora