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L'incubo che mi aveva perseguitata per mesi è tornato ad opprimermi, costringendomi a sedermi sul bordo del letto. Nel buio della stanza, riesco a intravedere quella macchina distrutta in mille pezzi, un'immagine nitida che emerge dalla mia mente, reale quanto le mie mani che tremano. L'odore acre di benzina bruciata mi riempie le narici, così forte che mi viene da tossire. Poi il suono del vetro che si frantuma, il rumore assordante che mi rimbomba nelle orecchie, le schegge che piovono ovunque come lame sottili sulla pelle e mi tagliano il viso. Sento il dolore pungente delle ferite, il sapore ferroso del sangue in bocca e le urla che lacerano l'aria. Mie, sue. 

Il passato si mescola con il presente, e non so più dove finisce l'uno e dove inizia l'altro. Sono paralizzata dal terrore, incapace di muovermi, e le mie grida disperate rimangono inascoltate come allora. È solo un ricordo o sono davvero lì? 

La stessa sensazione di impotenza mi avvolge e la disperazione si lega ad ogni fibra del mio corpo, trascinandomi giù. Afferro immediatamente il cellulare per chiamare aiuto, ma sbaglio a comporre il numero varie volte. Lei ha bisogno di un'ambulanza. Ha smesso di parlare. Forse persino di respirare. 

Ma prima che possa spingere il tasto di avvio, un tocco caldo, morbido, mi sfiora la pelle. Il gatto. Lentamente distinguo le sue fusa ritmiche, e in un attimo, sono fuori dall'abisso. Kimba si strofina contro le mie caviglie, cercando di portarmi conforto, ma la pace che mi offre è un'illusione.

La testa pulsa terribilmente, stretta in una morsa d'ansia. Forse non mi sono mai svegliata. Forse non mi sveglierò mai. Ma di una cosa sono certa, questo è il mio inferno personale.

Il mio sguardo cade sullo schermo e mi rendo conto di aver digitato il numero dei soccorsi, lo cancello. Ormai è troppo tardi. Noto tutte le notifiche che mi sono arrivate. Fra queste un messaggio della mia amica. Sta bene. Tiro un sospiro di sollievo.

Arya: Sono a casa, poi ti  racconto. Oggi sei libera?

Tu: Assolutamente! Hai tanto da farti perdonare.

Il conforto di sapere che non le è successo nulla è accompagnato da rabbia e confusione. Come è potuta sparire senza avvertirmi?

Raggiungo la bilancia nella speranza possa distrarmi: 47.3 

Sto dimagrendo velocemente e ne sono fiera. Ho imparato a gestire le fitte dolorose allo stomaco, come quella che sto avendo ora per la fame. Scendo in cucina e sotto lo sguardo attento dei miei genitori mangio una mela. Non sempre la tampono con del cibo, ci sono giorni in cui bevo litri di acqua, altri in cui mastico una cicca, e altri ancora che semplicemente resisto fumando una sigaretta.

Scendo in cucina, ma appena varco la soglia una fitta acuta al cuore mi costringe a indietreggiare. La sedia vuota fa più male del solito. Ogni volta che la guardo il peso della sofferenza è insostenibile, oggi è come se quel vuoto riempisse ogni angolo della casa. Non c'è nessuna risata che rimbombi tra le pareti, nessuna voce che si sovrapponga al silenzio. L'assenza è così tangibile che vorrei strapparmi il cuore dal petto e ridurlo in mille pezzi per non dover sentire nulla. È come se la mancanza di amore si fosse fatta materia, avvolgendo ogni cosa, spegnendo anche la luce che filtra dalle finestre.

Mi siedo al tavolo, e sotto lo sguardo vigile dei miei genitori, inizio a mangiare una mela, ma non riesco a sentire il sapore. La divido in tanti spicchi, come se potessi smorzare un po' del dolore con ogni boccone, ma è inutile, non riesco a concentrarmi nemmeno sul cibo. I dettagli che rendono questa casa fredda e inospitale mi distraggono da tutto il resto.

Percepisco la pesantezza del loro silenzio, il modo in cui i loro occhi mi scrutano, aspettandosi qualcosa che non posso dare. Non posso ridere, non posso sorridere, non posso fare finta che vada tutto bene. La casa è un contenitore rotto che ricorderà per sempre la sua assenza.  

Ricominciare da meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora