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È notte quando decido di voler camminare all'aria aperta, diretta chissà dove per mettere in atto il mio piano.  Non riesco a liberarmi del desiderio di capire. E ora sono qui, pronta a rischiare di nuovo. Non per morire stavolta, ma per attirarlo, per vedere il volto che ho evitato il giorno del palazzo.

Potrebbe anche non presentarsi. Già, potrebbe, ma qualcosa mi sprona a credere che si farà vivo. 

Mi stringo nel cappotto, il freddo mi pizzica la punta del naso e mi congela le dita, non me ne curo e mi concentro sul tappeto di stelle sopra la mia testa. In lontananza scorgo dei binari, corro in quella direzione e mi stendo sul ferro, chiudo gli occhi e immagino il dolore che si prova. 

Non sarebbe male rimanere qui ad aspettare la fine... Sentirò il treno investirmi oppure sarà così rapido da non sentire nulla? Proverò un dolore lancinante? Forse sentirò l'impatto con il treno e poi il nulla. Chissà cosa si prova ad essere morti, a non sentire niente.

Quella notte ero salita lassù per mettere fine a tutto, per spegnere quel vuoto che mi scava dentro da troppo tempo. Ma lui aveva deciso che non sarebbe andata così. Non so nulla di questo ragazzo, se non il ricordo delle sue mani forti che mi hanno trascinata all'indietro e delle sue braccia che mi hanno avvolta. Però mi ha lasciato un biglietto ed è quello che userò per avere una spiegazione. Tocco il pezzo di carta custodito nella tasca del giubbotto come fosse la mia unica speranza.  

Il freddo delle rotaie sotto la mia schiena non è per niente confortante, mi fa male e sono in una posizione scomoda. Respiro a fondo. Il silenzio della notte mi mette un po' di inquietudine, ogni cosa è immobile e completamente ferma, muta. Poi un rumore infrange la tranquillità. Passi. Il cuore prende a battere più velocemente. Quasi non respiro più. Ogni muscolo si tende, come una corda sul punto di spezzarsi. Le mani diventano fredde, umide. Un formicolio mi serpeggia lungo la nuca e un brivido si insinua lungo la schiena, quasi fosse un avvertimento.  

Sta arrivando. Che sia davvero lui? Mi schiaccio al suolo, cercando di confondermi con il buio, ma il mio respiro accelerato è così forte che temo possa sentirlo anche lui, chiunque sia. La verità è che ho dato per scontato si trattasse del ragazzo incontrato per la strada, ma potrebbe essere chiunque e forse non sono pronta a scoprire la sua identità.

I passi si avvicinano. Lentamente. Troppo lentamente. Non è di certo un passante, no, lui è qui per me. Sta venendo proprio da questa parte.

Ora lo vedo. Scarpe scure. Camminata misurata. Il respiro mi si spezza in gola. Non riesco a muovermi, a distogliere lo sguardo. Il mio stomaco si contrae in un nodo doloroso. Forse dovrei scappare. Forse dovrei alzarmi e affrontarlo. Ma non sono pronta. Rimango qui, in attesa, e spero di star facendo la cosa giusta, che ne valga la pana.  

«Ei, stai bene?» La domanda più inopportuna in un momento come questo. Come vuoi che stia se sono sdraiata sopra a dei binari? 

«Non si vede?» Faccio io. Lo guardo in faccia per confermare i miei sospetti. Il tono suadente e al tempo stesso irritante proviene dal ragazzo che immaginavo. Mi tende una mano e non posso che afferrarla per tirarmi su.

«Ci incontriamo sempre in brutte circostanze non ti pare?» Chiede lui con voce pacata ma invadente. Non si preoccupa nemmeno di ferirmi. Alzo le spalle come unica risposta, poi lui non fiata più, come se fosse normale avere una conversazione del genere con qualcuno che non conosci. Si accende una canna con una calma snervante, me la porge, ma rifiuto.

La luna illumina appena la sua figura: un cappuccio scuro che nasconde gli occhi, un fisico magro, non muscoloso, l'aria di chi sa perfettamente quello che fa. Rimane immobile, osservandomi con un atteggiamento quasi rilassato.

Ricominciare da meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora