CAPITOLO 2

219 41 201
                                    

Nessuno entra in vano
nella tua vita, o è una prova,
o è un dono.
|Ferzan Özpetek|

TRE ANNI PRIMA (2020)

L'unica emozione che provo quando arrivo all'Universal è l'ansia. Sono avvolta nella mia divisa da lavoro che consiste in un jeans cargo nero,  una canotta del medesimo colore ed un passamontagna nero con dei puntini bianchi (che rappresenterebbero le stelle), che raccoglie tutti i miei capelli, poiché con il lavoro che faccio ogni singolo dettaglio è importante e se qualcuno riconoscesse i miei capelli ramati sarebbe la fine. L'unica cosa che posso scegliere a lavoro sono le scarpe: degli anfibi neri.

Arrivo davanti all'entrata dell'Universal, e come sempre ad aspettarmi ci sono i buttafuori o bodyguard. Uno è Orione e l'altro è Sirio, fortunatamente per loro non sono i loro veri nomi, per quanto mi piaccia l'astrofisica troverei ridicolo chiamare mio figlio Orione o Sirio. Non appena i due mi vedono arrivare con la mia solita fierezza, che mi obbligo ad ostentare in maniera esagerata quando sono in queste zone, mi salutano con un cenno del capo e mi lasciano passare. Tutti qui mi portano rispetto nonostante non conoscano il mio volto ma semplicemente il passamontagna che indosso. In realtà sono sicura che ciò che provano nei miei confronti non sia rispetto ma semplicemente paura, infatti quando varco la soglia del pub, tutte le persone, sudate e accaldate, che fino ad un minuto prima erano a ballare, drogarsi, bere o semplicemente a fare dei preliminari in pubblico, si fermano e restano a fissarmi, e non appena capiscono chi sono si separano in due gruppi, come se volessero crearmi un corridoio personale con i loro corpi. Dio, mi sento come Mosè che separò le acque con un gesto delle mani, solo che a me per separare queste persone è bastato uno sguardo.

Mi incammino nel mio 'corridoio umano' e giro a destra dove trovo una rampa di scale, fortunatamente c'è anche l'ascensore altrimenti serei rimasta lì in piedi come una statua aspettando che qualcuno venisse, mi prendesse in braccio e mi portasse fino in cima alla rampa di scale. Entro nell'ascensore, e quando le porte si chiudono sento che le persone hanno ricominciato a fare ciò che stavano facendo prima del mio arrivo.

Esco dall'ascensore e, santo cielo, non ricordavo che questo posto fosse interamente nero e blu! A malapena riesco a distinguere il muro dal pavimento!

Continuo a camminare dritta, come la mia memoria mi dice di fare, e così, un po' arrancando sui miei stessi passi, arrivo davanti ad altri due bodyguard solo che questi due sono delle donne: Cassiopea ed Andromeda, anche per loro fortuna non sono i loro veri nomi. Guardano il passamontagna.
Mi riconoscono.
Mi lasciano passare.

Entro in un ufficio dove sul soffitto è disegnata una mappa stellare, tutta questa astronomia mi sta dando il voltastomaco. Seduto alla scrivania con i piedi al di sopra di essa, sotterrato nella sua poltrona bordò c'è il 'Capo', nessuno sa il suo nome, e nessuno vuole scoprire come si chiama: chi scopre il suo nome viene ucciso.

"Ecco il nostro Inferno dell'Universal" mi annuncia a nessuno, o almeno così credevo, con tono sarcastico. Qui tutti mi soprannominano 'l'Inferno dell'Universal', sia per il mio nome, sia perchè la precisione con cui lavoro, effettivamente ti manderà all'inferno. Era una coincidenza troppo bella secondo il mio Capo per non usufruirne.

"Salve Capo" saluto io guardandolo negli occhi, sono l'unica che osa farlo e l'unica che se lo può permettere tra l'altro. "Come già ti ho riferito ho un lavoro per te" come ti odio, vorrei urlaglielo in faccia, invece dico "Mi dica".
"Sai fare bene il tuo lavoro, immagino che per te questo sará più un passatempo..." quanto odio quest'uomo... "devi uccidere Eli Anderson" tipico, mi diceva che dovevo uccidere qualcuno come se la vita di quella persona non valesse niente.
"Mi dia più informazioni" dissi, schioccò la lingua sul palato come a negarmi quest'ultima richiesta.
"Prima devi sapere che avrai un compagno di lavoro" ecco a chi mi aveva presentata... "Non lavoro con nessuno" dissi con tono seccato, "Andiamo, almeno prova a conoscerlo" disse con il solito tono che si usa con i bambini capricciosi, e mentre pronunciava queste parole da un angolo buio della stanza uscì fuori un ragazzo, sarà stato giusto tre anni più piccolo di me, aveva una faccia spaesata, di chi non sapeva nemmeno come c'era finito in un posto del genere. Troppo... innocente, non potevo rovinare un'anima come del genere, soprattutto insegnandogli il mio lavoro, dovevo provare a mandarlo via in tutti i modi. "Come vuoi essere chiamato?" dissi con un tono che non lasciava trapelare alcuna emozione ed un leggero cenno del capo in direzione del ragazzo. "Alex", dal tono della voce non dava a vedere la paura che si intravedeva da quegli occhi color nocciola. Un punto a suo sfavore in questo caso, il Capo era contento che Alex non avesse detto il suo cognome, nessuno sapeva il cognome di nessuno, e se avevi un nome troppo particolare te lo cambiavano, erano le regole, tranne che per me.
"Vediamo Alex..." iniziai a girargli intorno come uno squalo che gira intorno alla nave che sta per affondare. "Che fucile useresti per fare il nostro lavoro..?", "SPZ-M36" rispose lui. Esultai mentalmente, quello era un fucile da caccia non da cecchino. Nemmeno al Capo deve essere piaciuta questa risposta, tanto che chiamò Andromeda e fece scortare fuori il ragazzo.
Per quanto fossi contenta per lui, è stata un'odiosa ed irritante perdita di tempo, detesto passare il tempo qui, e questo ragazzo ha allungato di quindici minuti la mia permanenza dentro questo posto schifoso.

moon soulsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora