CAPITOLO 9

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I suoi occhi:
Dal colore dell' oceano siberiano
ma profondi ed insidiosi come l' oceano
che sommerse Atlantide.

/Moon stories/

DEVIL

Una cosa che amavo era il suono delle onde, quello scrosciare lento deciso sulla riva, che ogni qual volta lo pensavo riusciva a calmarmi.

La paura mi faceva sprofondare mentre mi incamminavo verso le porte dell' Universal. O forse non era paura ma adrenalina. Fatto sta che immaginai il suono delle onde del mare.

Orione e Sirio mi salutarono come se fossi una loro familiare, e come ogni volta realizzai che quei due uomini mi avevano vista crescere. Di sicuro non ne ero contenta.

Vagai con lo sguardo tra la pista, praticamente priva di vita, se non fosse stato per qualche depravato che girovagava in cerca di diletto per una notte.

Attraversai la pista sotto lo sguardo di tutti, che allo stesso tempo non mi guardavano nemmeno per via dei troppi stupefacenti in circolo per il loro corpo.

Presi l' ascensore, guardandomi in torno, pensando alle telecamere che mi riprendevano, sempre che ci fossero. E se i corridoi dell' Ofiuchos mi ricordavano Dracula di Bram Stoker, i corridoi dell' Universal avevano più un non so che di Matrix.

Andromeda e Cassiopea mi spalancarono la porta dell' ufficio del mio Capo in maniera del tutto impersonale, come un tacito augurio di buona fortuna. Oppure come un calcio nel culo per spedirmi nella tana della bestia.

Entrai nell' ufficio, e subito alle mie narici giunse il solito odore di sigaro cubano. Sul soffitto era disegnata la solita mappa stellare al quale ormai avevo fatto l' abitudine.

«Evitiamo i formalismi, tanto oramai si sa che li odiamo entrambi.» Disse con il solito tono da lupo cresciuto in cattività. Ormai, come ero cresciuta io, era cresciuto anche lui, ed aveva eliminato tutti i momenti di debolezza ai quali spesso cedeva durante i primi tempi in cui lavoravo là.

«Cosa hai scoperto sui Bloodiest?» Chiese, ansioso di raggiungere come loro tanto guadagno.

Mi presi il mio tempo, girovagando nel suo ufficio con il mio paio di anfibi, prendendo un sigaro dal suo pacchetto, nonostante io non fumassi, solo per infastidirlo e rigirarmelo tra le mani.

«Sa... mi aspettavo di più da un uomo come lei.» Dissi io con tono presuntuoso e controllato, che diede fastidio perfino a me che parlavo.
«Due volte sono stata all' Ofiuchos e lei già pretende che mi svelino qualcosa di come lavorano?» Poggiai entrambe le mani sulla sua scrivania guardandolo dall' alto, mentre mi accorsi che lui da seduto aveva già lanciato qualche occhiata al mio seno avvolto nella mia canotta nera. Una cosa che mi riconoscevo era che con il tempo avevo acquistato maggiore sicurezza e credibilità, tanto che le bugie sul fatto che non mi avevano rivelato nulla del loro lavoro gli suonarono credibilissime.

«Ma non si preoccupi, ci andrò anche sta sera, per sua fortuna mi hanno chiamata proprio qualche ora fa per propormi un lavoro.»

«Stai facendo un buon lavoro Devil...» Mentre pronunciava queste parole si alzò, lanciando occhiate tutt' altro che discrete al mio seno. Non conosceva neppure la mia faccia, in quanto questa era coperta dal solito passamontagna nero costellato di puntini bianchi. Per loro ero solo un corpo particolarmente bravo con il fucile, che speravano sarebbe stato altrettanto bravo con un altro tipo di armi, tutt' altro che letali.

Feci per uscire da quell' ufficio, ma la voce del mio Capo mi trattenne.

«Devil, -mi voltai, ancorata sull' uscio della porta- usa una delle nostre auto per andare dai Bloodiest.» E mi lanciò le chiavi di un' auto. Voltandomi le guardai e mi accorsi che mi aveva dato le chiavi di una Volkswagen.

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