CAPITOLO 6

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Mi manchi
come quei 4 secondi
in cui il ventilatore
si gira a fare aria a nessuno.

LOKI

Pensavo sarebbe stato uno dei miei posti preferiti, se non fosse stato per tutte quelle teste di cazzo che c' erano sepolte.

Abbassai la cerniera dei pantaloni. Menomale che il bisogno di pisciare era arrivato al momento giusto.

Guardai un' ultima volta la faccia da culo di mio zio, prima di urinare proprio sulla foto posta sulla sua lapide distrutta. A nessuno piacevano le persone di merda. Tanto meno a me.

L' urina inzuppò tutta la stampa della fotografia poiché il vetro rotto la lasciava passare. Sorrisi. Le parti bianche della foto diventarono grigiastre con qualche parvenza giallognola per via dell'urina.

Ricordavo che quando ero piccolo avevo distrutto quella dannata foto almeno un centinaio di volte, prima di capire che non importava quante volte io la rompessi, perché arrivava sempre qualcuno che pensava "Oh pover' uomo di sicuro si prendeva cura della sua famiglia" e la riaggiustava. Ed invece aveva distrutto proprio la cosa che doveva proteggere. La sua famiglia. Stronzo.

Ritirai su la cerniera dei jeans e lo guardai un' ultima negli occhi volta prima di andarmene. Come ogni Anderson che si rispetti aveva anche lui gli occhi verdi. Come me e mio padre. Un' altro stronzo di prima classe. Nella mia famiglia si salvavano solo le donne.

Sarebbe stato più appropriato cagarci sulla tomba di quel rifiuto umano, però mi limitai semplicemente a sputarci sopra. Mi girai verso la tomba alle mie spalle. Mia zia. Non l' avevo mai conosciuta, eppure sapevo che aveva subito lo stesso trattamento di mia madre. Solo che lei era morta di overdose, mia madre si era suicidata. Certe notti ero convinto di riuscire ancora a percepire i rumori di lei che provava a sgozzarsi da sola, per morire provando a vivere un po' di normalità.

La foto di mia zia sulla lapide era bellissima. Fermava un istante della sua vita, prima che la sua anima venisse distrutta da quella di mio zio.

I capelli neri incorniciavano un viso olivastro con due occhi marroni che sembravano scavarti dentro. Sui capelli aveva intrecciati dei garofani d' India, gialli, quei fiori che in Messico vengono usati il giorno dei morti. Credevo avesse origini messicane ma non ne ero certo. Lasciai un garofano d' India sotto la sua lapide. Non erano molti i fiorai che li avevano, infatti io li ordinavo sempre dalla stesso fioraio.

Mi allontanai dalle tombe dei miei zii e mi diressi verso quelle dei miei genitori.

Mia madre sembrava che ancora mi parlasse. Mi dicesse cose dolci il giorno prima, e poi il giorno dopo... Ricordo che cercava sempre di non farmi pesare la sua presenza. Di fare il ruolo della madre per quei pochi istanti in cui mio padre e mio zio erano assenti.

Sentivo dei rumori ovattati provenire dal soggiorno, dall' angolo buio della mia cameretta in cui mi ero rintanato. La mia sorellina ancora non era tornata da scuola quindi eravamo solo io e la mamma in casa. A me non era permesso frequentare la scuola, mio padre e mio zio non volevano. Mi mancava stare con i miei compagni di classe, anche se tutti mi odiavano. I rumori si fecero sempre più frequenti, mischiandosi con dei gemiti, sia di dolore che di sollievo. Avevo paura. La mamma mi aveva proibito di uscire dalla mia cameretta. Le lacrime calde bagnavano le mie guance rosse per la vergogna, e mi sembrava di avere gli occhi affogati in un mare di sale.

Tutti i rumori si interruppero. Mi ricordai di un testo che avevo letto l' ultimo giorno di scuola, parlava dello tsunami, che in certi casi, prima dell' inondazione, il mare si ritirava per centinaia di metri. Il fenomeno ricordo che era causato dai vortici marini. Credevo fosse molto simile alla calma prima del disastro. Un po' come la mia vita. Mai una cosa positiva.

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