CAPITOLO 17

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Tu sei malata d' amore

/Apuleio/

LOKI

Un buco al petto. La bile pompata nel cuore.

Lo aveva fatto di nuovo.

Continuavo a spingere verso di me quel volto dagli occhi chiusi in eterno.

Era tutta colpa mia.

Non riuscivo più a fermarmi. Cercavo di andare contro me stesso. Il mio Angelo nero era tornato ed aveva preso mia sorella. Ed ora vegliava di nuovo su di me. Era tornato e non ero riuscito a vincere. Un' altra volta. Ma questa faceva più male di tutte.

Non ero con lei. Se ci fossi stato non lo avrebbe fatto.

Il sangue continuava a sgorgare dalle narici di quel volto che insistentemente spingevo contro di me. Avevo le mani sporche del suo sangue nero. Mi sentivo sporco nell' anima.

Ma come mai sorellina? Perché farmi questo?

Gorgoglii disumani.

Risucchio.

Suoni di rigetto.

Battei una mano su quel muro sudicio, ero fuori di me, non riuscivo più a controllarmi. Dovevo vincere. Dovevo ricordare come era vincere contro di lui. Non dovevo lasciarlo vincere come quando ero piccolo. Come quando eravamo piccoli.

Godevo spingendomi tra quelle labbra violacee. Godevo quando quel corpo cadaverico stringeva i denti introno alla mia erezione. Era lo stesso rumore di quel vetro sulla mia pelle. Godevo nel vedere lo ombre congiungersi dietro quel corpo inerme a formare un paio di ali nere che mi soffocavano tra le loro spire. Ma io le avrei rotte, quella ed altre mille volte. Le avrei rotte come avevo rotto quelle ali di cui da bambino tanto avevo paura.

DEVIL

Quella sera mi aveva chiamata il Capo dell' Ofiuchos, così a quell' ora mi ritrovavo in quei corridoi sotterranei. Mi aveva detto di andare nelle celle. Da sola. E questo m' insospettiva e non poco, perché anche lui sembrava esitante nell' ordinarmelo.

Il solito odore acre, di putrefatto e da voltastomaco mi punse violentemente le narici, ed io dovetti reggermi al muro. In quel periodo vedevo giallo molto più spesso. Non riuscivo a determinarne il perché. Cercai di riprendere fiato, ma ad ogni boccata mi sentivo sempre peggio per via dell' odore di carcasse. Carcasse umane.

Fin quando un urlo squarciò l' aria. Mi perforò i timpani e lo sentii fin dentro la mia anima. A quel punto la nausea cessò.

L' urlo era ciò che più liberava la vera essenza della nostra anima. Indecifrabile, volubile e fragile, curioso quel tanto da sfondare i tuoi rimpani e curiosare tra il tuo cervello. Tra i tuoi pensieri più inespressi.

Avanzai in quel corridoio cupo, finché l' odore non si fece sempre più forte. Molto più forte anche della volta scorsa. Un buco nero mi risucchio lo stomaco.

Quando arrivai alla fine del corridoio, con un' entrata che dava direttamente sulle celle, potei sbirciare senza che chiunque avesse urlato mi notasse.

All' inizio ipotizzai fosse un' urlo di straziante dolore proveniente dalle labbra di uno di quei corpi slavati, eppure dovetti ricredermi quando una luce fioca illuminò un volto che vedevo quasi tutti i giorni: Loki Anderson. Chiuso in una delle celle al centro del corridoio.

Posai una mano sul muro, come se quest' ultima avesse potuto aiutarmi a nascondermi nelle ombre.

Aveva una mano posata sul muro di fronte a lui, che apriva la visione al suo braccio contratto e venoso. Non riuscivo a vedere cosa stesse facendo con l' altro braccio, eppure scorgevo il movimento della sua spalla: avanti ed indietro, e quello del suo bacino. Il capo era chinato verso ciò che stava facendo con la mano. Un brutto presentimento s' impossessò della mia coscienza.

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