Niente

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Sei anni prima

Gli dicono che deve andare in protezione testimoni — no, collaboratori di giustizia, perché anche lui ha commesso un reato — in macchina, a caldo, dopo che Pantera, l'amico del professore, si è appartato per parlare con il giudice. Mimmo è seduto sul sedile del passeggero, Pantera in quello di dietro, Dante è seduto di fronte a lui e ha in faccia la sua tipica espressione di quando guarda Mimmo — come la notte della rapina, quando è corso a casa sua sotto la pioggia battente e fredda di marzo, senza ombrello. Tristezza mista a pena. Lo fa sentire come l'ultimo cane della cucciolata, quello nato zoppo o con l'orecchio deforme che ancora nessuno ha adottato.

"Ma come — come faccio?"

Pantera gli mette una mano sulla spalla e il contatto fisico improvviso lo fa un po' sussultare. "Stai a fa' 'a cosa giusta, Mimmo."

È in quel momento che capisce che questa non è una discussione in cui lui ha voce in capitolo — non sa neanche se deve firmare da qualche parte, o dire al giudice, o dire a Pantera adesso. E se pure dovesse, non importerebbe. Sente le parole di Molosso fischiargli nelle orecchie — tu si' o mij — e adesso è come se gliele stesse dicendo Pantera. Si chiede se non sia passato dalla padella alla brace, e quando sarà il tempo per lui di appartenere solo a se stesso.

Ma per quei diverbi filosofici c'è tempo — e teme sia molto. C'è un'altra cosa che gli preme. "E Simone?"

Guarda prima Dante, nel cui viso non legge nulla di nuovo — non lo sa neanche lui? — e poi Pantera. Che schiocca la lingua. "Se vuoi 'o puoi vede', ma dev'esse 'na cosa veloce."

A Mimmo manca il fiato. Si sente il cuore battere nelle orecchie e il sangue pulsare in faccia. Vorrebbe urlare, scalciare, dire no e scendere dalla macchina. Scappare. Il carcere è meglio. Molosso è meglio. Che cazzo hai fatto. Che cazzo hai fatto.

"Ma dici — per l'ultima volta?" Adesso sia Pantera che Dante lo guardano compassionevoli, come se Mimmo fosse un bambino che ha appena fatto una domanda troppo stupida per l'età che ha. La similitudine gli viene chiara in mente perché quella cosa è già successa, e con diverse persone. "Io non voglio." Di solito Mimmo parla a voce bassa. È quello che gli hanno insegnato, che se la alzi le prendi. Soprattutto con quelli più grandi di te. Eppure adesso gli esce stridula e lamentosa, e non gli importa che il professore e uno sconosciuto lo stanno guardando. "Ij nun c vac."

Pantera gli stringe le dita sulla giacca. Mimmo si era dimenticato che la sua mano era ancora lì. "Mimmo, non ti consiglio di cambiare idea."

Dante è più dolce. Gli mette una mano sul ginocchio e ci passa il pollice. Quando accarezza l'osso Mimmo si ricorda che a cena la sera prima non ha mangiato per l'ansia, e neanche quella mattina. Forse questa è un'allucinazione, forse deve solo mangiare. Ora vai da Simone, ti prende un panino —

Ma la realtà lo scuote, o forse è Pantera a scuoterlo — no, non lo sta scuotendo nessuno. Si sente la testa pesante, e solo in quel momento percepisce che Dante gli sta dicendo qualcosa e lui si è perso, non ha capito, non gli arrivano bene i suoni, le parole sembrano tutt'una e non le distingue.

"Non piangere." Riesce a capire a un certo punto, ed è strano anche quello. Sta piangendo? Non lo sapeva.

Sì, sta piangendo. Adesso sente di nuovo il suo corpo, si accorge che ha le mani sulla faccia e il petto gli sta tremando, tutto sta tremando , non riesce a smettere di singhiozzare e non riesce a chiedere scusa a Dante e Pantera per dover assistere a questa scena orribile. Dovrebbe essere felice, dovrebbe essere quantomeno grato, niente più prigione, niente più sbarre. Esce prima e può fare una vita semi normale, e poi lo sa che ai collaboratori di giustizia lo stato paga un appartamento, forse gli danno pure i soldi, forse è l'opportunità che voleva da sempre.

Il fato ci ha fatto (r)incontrare - Mimmo & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora