Segreteria

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"Mì, tanto lo vedo che li hai sentiti tutti gli audio. Per piacere, mi dici solo se stai bene? E dove stai?"

A Simone si spezza la voce. Il dito gli scivola e l'audio si invia. Manda giù il groppo che ha in gola, o almeno ci prova, e ne inizia un altro.

"Ora vengo a casa tua," dice, e sembrerebbe una mezza minaccia se non lo stesse dicendo con questa vocetta del cazzo. "Ci andiamo a fare un giro. Se vuoi mi puoi pure mandare a fanculo, urlarmi alpresso, basta che mi parli. Posso pure chiamare Laura e ti ci faccio parlare. Se ti senti più tranquillo." Non ha molto altro da aggiungere. Ormai i messaggi sono diventati tutti uguali. "Mezz'ora e ci sono, ok?"

Probabilmente è pure inutile avvisarlo. Sono passati due giorni e Mimmo non ha dato nessun segno di vita. Non è passato in università, e ha lasciato il telefono squillare a vuoto ad ogni telefonata di Simone. Simone ha aspettato ogni volta che scattasse la segreteria. Gli ha lasciato dei messaggi pure lì, tanto per non farsi mancare nulla.

E si è trattenuto — chiunque al posto di Mimmo vorrebbe un po' di spazio, ci sta essere incazzati, quindi l'ha chiamato solo quattro volte al giorno e gli ha mandato — vabbè, non tantissimi messaggi. Massimo dieci. Non vuole fare lo stalker, e magari mettergli addosso ancora più paura.

Il resto del tempo l'ha passato a vagare tra le aule studio di lettere e le sue, e a fare mille pause caffè nel solito bar, nella speranza di vederlo. Niente. A casa sua ha pianto al telefono con Laura, a malapena in grado di spiegarle bene la situazione. Lei ha capito lo stesso, e si è sentita una merda anche se non è colpa sua. Si è persino offerta di chiamare lei Mimmo, ma Simone non può darle il suo numero. Farebbero un danno ancora più grande.

A una certa ha pianto così forte, nonostante il piumino sopra la testa e la mano sulla bocca, che i suoi coinquilini hanno bussato alla porta e gli hanno chiesto se stava bene. Lui ha detto che si è lasciato col suo ragazzo, e loro gli hanno fatto da mangiare. Gentili, anche se Simone non riesce a toccare cibo. Si sente malato, come se qualcuno gli avesse tirato fuori tutti gli organi e li avesse rimessi ai posti sbagliati. Tipo piccolo chirurgo.

"Se non mangi chiamo tuo padre," gli ha dovuto intimare Sandro a un certo punto. Hanno tutti i numeri dei genitori degli altri, in caso di emergenza. Eccesso di zelo, ha pensato Simone quando hanno deciso quella regola, e lo pensa ancora. Mentre mangiava la pasta al pesto, tutta incollata e niente a che vedere con le cose che gli cucinava Mimmo, avrebbe voluto protestare. Col padre proprio non ci vuole parlare. Per dirgli che cosa, poi? Proprio adesso che dev'essere sereno, felice. Proprio adesso che Simone gli ha raccontato di come ha ritrovato Mimmo, non può dirgli che se l'è lasciato sfuggire.

Comunque una cosa è certa, lui è proprio un coglione. Perché ci spera davvero che Mimmo gli aprirà, quando gli citofona. Ha sentito anche l'ultimo audio, e non gli ha risposto, quindi magari non è neanche a casa.

Se è a casa, però, Simone può infastidirlo talmente tanto che le sue uniche scelte sono rispondergli o smontare il citofono.

E quindi risuona.

E risuona ancora.

E poi ci si attacca, per un minuto buono di fila.

Il portone si apre che ancora tiene il dito sul bottone. Simone si fa indietro, il cuore in gola, ce l'ha fatta, Mimmo ora lo fa salire e —

Ma è una signora. Piccola, anziana, arrabbiatissima. "Oh bellino, ma la smetti un po'?" Gli mezzo strilla, stringendosi nello scialle di lana. "T'ha dato di barba il cervello che fai tutto sto 'asino?"

Giusto. "Scusi," balbetta Simone. Ma forse lei conosce Mimmo. Non può non provarci. "Cercavo — Nico? Ha presente? Un ragazzo della mia età, sta al quarto piano..."

Il fato ci ha fatto (r)incontrare - Mimmo & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora