Capitolo 33 - Assassino

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Anton. Quel nome. Quella nota meravigliosa in quella che era la mia sinfonia, la mia vita. Spezzato, distrutto, ucciso, da un colpo al petto. Non penso che riuscirò mai a dimenticare quel suo volto inespressivo, sbiancato, morto. Quel cuore che non batteva, quella mano che non stringeva e quel sangue che non smetteva di colorare tutta quell'oscurità. Quei bellissimi occhi verdi che osservavano i miei, non mi avrebbero più guardata; quelle potenti braccia non mi avrebbero più stretta in un caldo abbraccio che allontanava la tristezza e l'insicurezza. Quelle gambe non avrebbero più rincorso nulla, né me né nessun altro. Quella mente non avrebbe mai più escogitato piani o idee e quel cuore non si sarebbe mai innamorato ancora.

Anton era morto. Punto. Non potevo più ripetermi che questo era un incubo o che fosse un altro degli odiosi scherzi del mio migliore amico. Perché ormai non poteva più farli. Era morto. Ero certa che il suo cuore non battesse e anche che il suo fiato non si percepisse. Non potevo essere tanto presa dall'angoscia da non accorgermi che in realtà fosse ancora vivo, benché ferito.

I momenti successivi a quelli della sua morte sono stati drammatici. Non ricordo i dettagli, ma in qualche modo mi ritrovai nel dormitorio, vuoto, la porta chiusa. E, da quando avevo i riflessi pronti per qualsiasi cosa, non avevo visto nessuno entrare. Non sento voci, né urla, né risate.

Non sento nulla.

Né fuori né dentro di me. L'esterno è un luogo malinconico e triste a livelli eccessivi; le pareti grigie, gli scheletri dei letti, le lenzuola verdognole, la muffa e l'umido, l'assenza di finestre. L'interno è peggio. Non c'è assolutamente niente. Non un immagine, non una voce. Niente. Solo ricordi. Solo ritorni al passato in cui odio viaggiare ma al quale non posso sottrarmi.

Anton. Solo lui. Lui il protagonista di tutto. Lui il pensiero fisso. Volevo e detestavo, contemporaneamente, visualizzare i suoi ricordi. Ma era la mia condanna.

Continuavo a frustrarmi sul fatto che magari avrei potuto fermare Ron. Potevo alzarmi e prendergli l'arma che ha ucciso il mio amico. Potevo fare di tutto, ma non l'ho fatto. Potevo gridare più forte, scuoterlo, colpirlo con qualcosa. Ma non l'ho fatto. E meritavo di soffrire con questi viaggi nel passato. La mia sofferenza non rappresentava neanche una piccola parte della sofferenza che aveva provato Anton quando stava morendo. Quindi, mi rassegno.

Sento improvvise grida. Esclamazioni, esultanze. Per cosa? Ero stufa di restare in quel dormitorio. Potevo esserci stata ore per quanto giorni. Mi porto lentamente in posizione ritta, finché non sento un acuto dolore al braccio. Mi volto e vedo una fasciatura.

Lo sparo. Il colpo. Quello che ci aveva fatto accorgere che c'era qualcuno alle spalle mie e di Ron. Durante la mia apocalisse l'avevo completamente dimenticata. Intanto, però, quella era l'ultima cosa che aveva fatto il mio migliore amico, quindi guardai la ferita, sorridendo.

Sorridendo e singhiozzando.

Mi alzo. Dovevo avere di certo un aspetto orribile. Probabilmente avevo passato giorni sommersa nel pianto che appena uscita dal dormitorio mi avrebbero presa per uno zombie. Mi avvicino alla porta e apro la maniglia. Le urla sono sempre presenti e, con l'udito sfumato e stordito come qualcuno che, morto dal sonno, si sveglia di soprassalto e scopre che qualcuno ha fatto una festa in casa sua, raggiungo la sorgente delle esultanze.

Il Pozzo. È così pieno di Intrepidi che mi meraviglio di non aver conosciuto neanche la metà. Guardano verso qualcuno o qualcosa, ma sono tutti così alti che è un'impresa impossibile per me sperare di capire a cosa prestano attenzione. Qualcuno di volta verso di me. Sembrano preoccupati mentre io spero di non essere così impresentabile come speravo non fossi.

«Tess» afferma una voce alle mie spalle. Non mi volto perché capisco di chi si tratta. Arin. Non la ricordavo neanche più. Non l'avevo più pensata che mi ero dimenticata che lei stava soffrendo la morte di Anton. I due erano così in sintonia che ero arrivata a credere che ormai erano fidanzanti senza dirmi nulla. Arin mi aveva chiesto più volte se fosse carina quando doveva uscire con lui e se la sua cicatrice non fosse tanto orribile come credesse. Assieme siamo andate a comprare abiti più eleganti ai negozi della residenza con i punti dati in proporzione alle nostre posizioni in classifica, per quando doveva incontrarsi con il mio migliore amico. Non avevo neanche minimamente pensato alla sua reazione che ora mi detestavo ancora di più.

The Divergent Series: By Tess - DivergentDove le storie prendono vita. Scoprilo ora