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Tyler's POV

Parlare dei miei problemi non è mai stato il mio forte

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Parlare dei miei problemi non è mai stato il mio forte. Ho sempre preferito essere la spalla su cui poter piangere per gli altri, la loro roccia, il loro conforto. Ho sempre trovato più facile ascoltare gli altri e dare loro consigli, o ancora meglio ho sempre trovato più semplice proteggere tutti ciò che amo mettendoli sempre al primo posto.

Lo faccio da sempre: proteggo gli altri perché mi fa sentire utile, amato, forte. Amo lottare affinché giustizia sia fatta, anche se ciò richiede prendere a botte un cretino che ci prova insistentemente con mia sorella.

Da tutta la vita il mio ruolo è quello di difendere, proteggere ed aiutare gli altri; e quando non ci riesco, mi sembra quasi di morire per quanto inutile io mi senta. Eppure, quando si tratta di me, non sono in grado di proteggermi. Non so seguire i consigli che io stesso do, non penso razionalmente quando devo risolvere un problema, ed interiorizzo tutto fin quando non esplodo.

Parlare di ciò che mi tormenta? No, è meglio far sì che siano gli altri a tirar fuori il proprio dolore, cosicché io possa assorbirlo, farlo mio e togliergli un peso di dosso. Sono gli altri ad aver bisogno di me, ed io devo essere forte per loro. Non posso permettermi di essere debole, di piangere o di soffermarmi a pensare, perché i pensieri mi ucciderebbero ed a quel punto non sarei più utile.

Agli occhi degli altri so che tutto questo è sbagliato, può sembrare che io soffra della sindrome da crocerossino, ma la verità è che sono cresciuto così, questa idea si è inculcata e radicata nella mia testa fino a diventare tutto ciò che sono: se non aiuto gli altri, io non sono nessuno.

Da quando mia madre è scomparsa e mio padre si è di conseguenza buttato a capofitto sul lavoro, ho dovuto pensare a tutto io; d'altronde, lui non c'era mai e le governanti non avrebbero mai potuto prendere il posto di mia madre. Così ho preso le veci di mamma e papà, e mi sono preso cura di Kayla come fosse una figlia più che una sorella. Mi assicuravo che a scuola andasse bene, che nessuno le facesse del male, che ciò che mangiava non contenesse tutti quegli alimenti a cui lei è allergica – perché ne sono allergico anche io, ed assaggiavo tutto in modo tale che lo shock anafilattico venisse a me piuttosto che alla mia sorellina. Ho cresciuto Kayla tenendola al sicuro, lontana dai cattivi ragazzi, dalle cattive compagnie, l'ho cresciuta dandole l'educazione garbata che adesso si ritrova. Le ho insegnato ad essere forte, ma anche a contare su di me, a sapersi difendere da sola ed a riconoscere il marcio della gente. E man mano che lei cresceva, diventavo sempre più consapevole della bellissima donna che stava diventando, esattamente come lo era – ed è – nostra madre. È forte, impavida, bella ed intelligente. Quando ha un obiettivo lo raggiunge anche se deve sacrificare molto, esattamente come ho fatto io.

Quando litigo con lei, a causa dei nostri caratteri troppo simili, finisce sempre che ci feriamo a vicenda. Delle volte non parliamo per giorni, perché l'orgoglio non vuole abbassarsi a tanto, ma alla fine siamo sempre lì l'uno per l'altra pronti a difenderci. La mia intera esistenza non avrebbe alcun senso, se non fosse per lei: l'unica cosa che per anni mi ha dato la forza di sopravvivere ed andare avanti quando tutto intorno a me e dentro di me cadeva a pezzi. Per lei provo un amore unico e viscerale che solo per un'altra persona al mondo provo: la mia Luna.

Holding on to heartacheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora