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Luna's POV

Ho passato cinquantasette giorni dentro una prigione che gli infermieri si ostinano a chiamare "reparto", ho passato questi giorni a contare le calorie ingerite calcolabili dai cibi solidi, a disperarmi per quelle nascoste dentro le sacche con le ...

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Ho passato cinquantasette giorni dentro una prigione che gli infermieri si ostinano a chiamare "reparto", ho passato questi giorni a contare le calorie ingerite calcolabili dai cibi solidi, a disperarmi per quelle nascoste dentro le sacche con le quali mi nutrono dal sondino, a cercare disperatamente luce dove non esiste, uno specchio che mostrasse le mie condizioni. Ho passato cinquantasette giorni ad aspettare, ad immaginare, a piangere e sperare che qualcuno diverso da un dottore o un infermiere varcasse la soglia della stanza nella quale vivo; ma nessuno è mai arrivato. In cinquantasette giorni solo dolore, tristezza, agonia, fame, senso di vuoto, pensieri e colpe mi hanno fatto compagnia. Ah, sì: anche una psicologa dolce e gentile, la prima che non crede alle mie menzogne e mi ascolta davvero quando parlo, mi ascolta come faceva Tyler.

Lui è sparito in un buco nero, non l'ho visto, non l'ho sentito, nessuno degli infermieri mi ha portato sue notizie – come invece fanno quando vengono i miei genitori o mio fratello, che però non posso vedere. So che Kayla è venuta, che Ryan, Cole e Jack sono venuti a lasciarmi dei fiori, un peluche. Ma Tyler non si è fatto vivo, e per un po' mi ero autoconvinta che gli fosse successo qualcosa di brutto, che fosse materialmente impossibilitato a venire da me anche solo per farmi sapere che mi aveva pensato, che lui c'era per me; poi quest'autoconvinzione si è frantumata quando dopo un mese di isolamento in psichiatria, affacciandomi alla finestra con le grate, ho visto la sua auto nel parcheggio. Quella fottuta BMW poteva essere di chiunque, l'ospedale è enorme e pieno di pazienti, ma da quell'auto è scesa Kayla.

Quindi Tyler mi ha abbandonata, ma cosa dovevo aspettarmi da lui? Mi aveva supplicato di aprirmi, di parlargli di cosa sentivo. Era stanco del mio tacere, era stanco di darmi tutto e farsi del male con i miei silenzi, perciò dovevo immaginarlo che mi avrebbe lasciata qui per ritornare alla sua vita. Ma se voleva tornare alla sua vita, perché sua sorella ed i suoi amici non l'hanno fatto? Perché non mi odiano tutti come fa lui, perché non si sono stancati della mia sofferenza come qualsiasi altro essere umano che io abbia mai conosciuto?

Il dolore distrugge, separa, mette alla prova, stanca. Il dolore si insinua nel tuo corpo giorno dopo giorno, ti colpisce e ti lascia inerme e senza respiro, si aggrappa con violenza al tuo cuore, ti lacera fino a non lasciare altro che macerie di te.

Ed io, come il dolore, mi sono aggrappata per tanto tempo a tutto ciò che era morto, privo di vitalità, nella speranza di raggiungere un orizzonte lontano che per un breve istante ho visto da lontano: con Tyler al mio fianco, ho visto che c'era speranza per me, ho visto che non tutto fa male e che la felicità non è preclusa a nessuno. Poi tutto è svanito nel nulla, si è dissolto in un oceano di lacrime che ho versato per cinquantasette giorni senza trovare pace, perché l'unica cosa a fermare la loro discesa rovente sulle mie guance era la mancanza di liquidi nel mio corpo, dopo ore senza tregua.

Cinquantasette giorni senza Tyler, fanno più male di un'intera vita di sofferenze.

«Luna, ci sei?» distolgo lo sguardo dal calendario alle spalle della dottoressa Ruiz.

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