Anno 4249 dell'Impero di Valesia
Kjetil riaprì gli occhi, si era addormentato seduto contro la parete, nei pressi del posto di guardia che gli era stato assegnato senza rendersene conto. Roteò il capo fino alla piccola finestrella accanto a lui. Fuori da quelle pareti, il caldo del deserto si faceva vedere creando dei miraggi e, soprattutto, sentire. Si portò alle labbra screpolate il beccuccio della fiaschetta di cuoio legata alla cintola, ma non uscì nemmeno una goccia. Contrariato, la lanciò a terra. Aveva sete, terribilmente sete. Le scorte d'acqua scarseggiavano e la situazione era destinata ad aggravarsi finché sarebbe durato l'assedio. Ancora qualche giorno e sarebbero morti di sete. Era palese che l'obiettivo del nemico fosse diventato proprio quello. Come poteva sbloccare la situazione? Puntò i piedi a terra e fece per alzarsi, ma gli vennero le vertigini e accusò un forte senso di nausea.
«Pensa, Kjetil. Pensa.» Ma pensare era diventato più arduo di qualsiasi battaglia. La disidratazione lo aveva debilitato.
«Non puoi morire così.» Mosse alcuni passi e abbandonò la postazione di guardia senza dare nell'occhio.
***
Art bevve dei grandi sorsi d'acqua dalla borraccia che Mitia gli porse. Sentì un rivolo scendere dalle labbra. Si passò il dorso della mano guantata sul mento e la restituì all'amico. Socchiuse le palpebre, infastidito dalla luce del Sole e riprese a scrutare Forte della Serpe che si stagliava imponente, con le sue quattro torri esagonali, davanti ai loro occhi.
«Il Deserto Bianco non perdona.» Disse alludendo alla calura che lo stava facendo bollire sotto la cotta di maglia e all'armatura da battaglia.
«Abbiamo tagliato loro tutte le possibilità che avevano per approvvigionarsi dell'acqua. Le loro scorte ben presto finiranno. A meno di una resa, moriranno tutti di sete.»
«La disidratazione, inoltre, rende vulnerabili. Il tuo piano è astuto quanto crudele, Mitia.» Sorrise beffardo Art.
«È solo strategia.»
Art rivolse le spalle al forte. «Me ne vado all'ombra, o tra poco sarò cotto a puntino. Fammi sapere quando decideranno di arrendersi.» Fece un cenno di saluto con la mano e si allontanò dall'amico. C'era poco da fare all'accampamento. Non restava che l'attesa e sperare che quell'agonia finisse al più presto. Erano giorni che erano bloccati in quel dannato ammasso di tende in mezzo al deserto e faticava a trovare respiro. Come lui, molti altri soldati si stavano trovando in difficoltà. Sognava ogni notte i bagni pubblici di Sygrovia e un'infinita cascata di acqua fresca dove potersi dissetare e rinfrescare. Si allentò la gorgiera dell'armatura che gli premeva sul collo e si passò una mano tra i ricci unti pettinandoseli all'indietro. «Se non si decidono ad arrendersi sperò che almeno tirino presto le cuoia, altrimenti quello a lasciarci le penne sarò io.»
***
Kjetil camminava con indolenza trascinandosi i piedi e aggrappandosi ai muri del forte. A stento riusciva a stare in piedi. Incrociò diverse guardie a terra, alcune svenute, altre ormai prive di volontà.
Non puoi morire così.
Era stato mandato in qualità si sottoufficiale dell'esercito dell'imperatrice Elyse Regan a Forte della Serpe, al confine tra le regioni di Dalen, Arcadia e Stara. Ordini imprescindibili dell'imperatrice. Forte della Serpe apriva le porte al regno di Dalen o, viceversa, la sua caduta avrebbe equivalso all'apertura di una breccia per i ribelli verso l'occidente. L' imperatrice voleva quindi mantenerne il controllo a ogni costo.
Non puoi morire così.
Ma a lui cosa importava del volere dell'imperatrice? Kjetil voleva solo restare in vita il più a lungo possibile. Odiava il destino che gli era stato imposto. Erano mesi che era lontano dalla capitale imperiale sotto minaccia di Elyse Regan. l'imperatrice teneva sotto scacco suo padre, Serse. Era stato quindi costretto a ubbidirle per evitare che anche a suo padre venisse tagliata la testa come a tutti i senatori che si erano schierati con Daniem. Kjetil era così diventato una pedina più che sacrificabile da sfruttare a piacimento. Lui, che fin da quando era un ragazzino, aveva sempre voluto essere libero. Tuttavia, era da tempo che di suo padre non aveva notizie. Incurvò le labbra in un ghigno isterico. Da quando in qua l'imperatrice mostrava pietà per le sue marionette? Era davvero stato così stupido da credere che Elyse avrebbe risparmiato suo padre? Non era poi tanto diverso da tutti gli altri senatori corrotti. Perché favorirlo?
Arrivò ai piedi di una scalinata. Fece gli scalini uno ad uno, mani salde alla parete. Quando fu in cima, due suoi compagni d'arme erano di guardia alla stanza del generale del forte, anche loro avevo il volto provato dalla disidratazione.
Dato il suo rango, le due guardie avrebbero dovuto lasciarlo passare, tuttavia ciò non avvenne.
«Fatemi passare, devo parlare col generale Cinquelao.»
«Ordini del generale. Nessuno può passare.»
«Che significa? io sono la seconda carica più alta qui dentro. Fatemi passare, ho detto.»
«Ordini del genera-» Non finì la frase che Kjetil gli mise la lama della spada a contatto con la gola. Lo sguardo truce fisso sulla guardia. «Non sei tu il collo che voglio tagliare in questo momento. Fatti da parte e tra pochi istanti sarai libero.»
la guardia deglutì a fatica mentre la seconda gli aveva puntato la spada all'altezza della schiena.
Seguirono degli attimi di titubanza e infine abbassarono entrambi le armi.
«Non voglio morire qui.» Disse arrendevole la prima guardia.
«Vi libererò tutti. Abbiate fiducia in me.» Avrebbe posto fine a quella farsa e se ne sarebbe occupato personalmente.
Kjetil passò oltre e aprì i battenti della stanza del generale. Cinquelao era solo in quel momento, intento a dissetarsi con un bel calice di vino seduto nel suo scranno.
«Avevo dato ordine di non far entrare nessuno.»
«Cosicché tu potessi dissetarti indisturbato mentre tre quarti della guarnigione del forte muore di stenti?» Kjetil fece tre ampie falcate e gli puntò la lama contro. «Le tue ultime parole?»
Cinquelao balzò in piedi e sfoderò la spada, divertito. «Ammutinamento? In quelle condizioni? Dimentichi con chi hai a che fare, stolto sottoufficiale Ocari.»
Quel vile aveva pensato bene di correre ai ripari con le ultime provviste e attendere che lo venissero a prendere. Forse si sarebbe prostrato ai piedi dei ribelli chiedendo la grazia, forse sarebbe rimasto nascosto fino al momento proprizio per poi fuggire. In ogni caso, Kjetil non avrebbe lasciato correre e gli avrebbe fatto pagare con la vita tutti i soldati che aveva ucciso nel nome di una vittoria impossibile.
***
Mitia si portò una mano sotto il mento privo di barba, mentre con sguardo assorto scrutava Forte Della Serpe sotto il sole cocente. A differenza di Art, era abituato al caldo torrido della sua terra natia. Detestava molto di più l'umido e freddo inverno della capitale dell'Impero. Ma ormai Benicassia poteva ancora chiamarsi tale? E l'Impero, per lui, esisteva ancora? Non era solito ideare strategie che mettessero a repentaglio la vita di così tanti innocenti. Era conscio che i soldati rinchiusi nel forte fossero solo vittime sacrificali di Elyse. Aveva sperato fino all'ultimo nella resa del loro generale. L'alleanza avrebbe soprasseduto sulle loro azioni e li avrebbe inglobati nel suo esercito. C'era bisogno di tutto l'aiuto possibile e quei soldati erano preziosi per la loro causa. Erano passate tre settimane dall'inizio dell'assedio. Secondo Mitia, le provviste sarebbero dovute finite in quindici giorni. Ormai, dovevano essere tutti morti di stenti.
All'improvviso, un movimento sulla torre più a ovest attirò la sua attenzione. Aguzzò la vista e riuscì distinguerlo chiaramente: un uomo stava sventolando un telo bianco. Il forte si era arreso.
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La figlia dell'imperatore
Fantasy[high | medieval fantasy, grimdark] Nulla è per sempre. Anno quattromiladuecentotrentanove dell'Impero di Valesia. Art Gunther è un giovane scapestrato, figlio cadetto del potente nobile Daniem Gunther. Insieme a dieci coetanei frequenta il primo an...