Capitolo 26.2: Forte Celeste

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«Che lavoro ingrato.» Nice Lo Taurus giunse alle porte di Forte Celeste in sella a un cavallo e accompagnato dallo sferragliare della sua armatura.

Erano mesi che si portava appresso l'ingombrante corazza di ferro e cuoio che aveva ricevuto in dotazione dall'impero. L'intenzione di disfarsene era stata grande, ma alla fine aveva ceduto. Poteva sempre servire, ma mai si sarebbe aspettato di doverla usare per trarre in inganno l'impero stesso.

Si sfilò dal volto l'elmo su cui svettava un pennacchio bianco e spelacchiato. I suoi capelli lo avrebbero aiutato a identificarsi. Tutti conoscevano il sanguinario generale Magnus Lo Taurus, l'emblema della fedeltà e della cieca obbedienza verso l'impero. Inoltre, Magnus era un uomo orgoglioso. Pur di nascondere l'onta di un figlio disertore si sarebbe fatto tagliare la lingua. Nice avrebbe potuto sfruttare per un po' la nomea di suo padre contribuendo alla rovina dell'impero.

Un uomo dal barbacane si pronunciò: «Identificatevi, cavaliere.»

Gli sfuggì un ghigno compiaciuto. «Sono Nice Lo Taurus, figlio ed emissario del generale Magnus Lo Taurus. Porto un messaggio da parte di mio padre al generale del forte. Vi chiedo di farmi entrare.»

Una volta aperto il portone e sollevata la grata, per tutti quei soldati sarebbe stata la fine e lui ne sarebbe stato il principale fautore.

L'uomo nel frattempo aveva lasciato la postazione sopra di lui. Trascorse diverso tempo quando dei cigolii annunciarono il sollevarsi della pesante grata di ferro. Tutto come Art aveva previsto.

Era ora di lanciare il segnale. Sguainò la spada e la alzò al cielo.

Pochi istanti dopo, una pioggia di frecce si levò nel cielo, abbattendosi sul forte. Avvertì dei rantoli e delle urla di dolore. Si voltò per controllare la situazione alle sue spalle. I briganti uscirono dal bosco e in massa si riversarono all'entrata del forte.

«Ora arriva la parte più bella.» Spronò il cavallo al galoppo e si buttò nella mischia.

***

Art dovette ammettere che Nice aveva fatto un ottimo lavoro. Forte Celeste era stato espugnato e le perdite limitate. Non restava che ripulire gli ultimi anfratti e passare a fil di spada chi restava.

Giunse all'ultimo piano del dongione. Abbatté la porta e si mise in guardia, spada in pugno. La stanza appariva deserta. Era dunque finita? Si addentrò cauto quando udì dei passi metallici contro il pavimento di legno, si voltò e si vide arrivare contro la punta di una spada in affondo. D'impeto, la afferrò con la mano guantata evitando che lo colpisse. Art avvertì la lama fredda trafiggergli la carne e qualcosa di caldo inumidirgli la mano. Serrò la mascella, mollò la presa e indietreggiò.

Anche il suo avversario fece alcuni passi indietro e si rimise in guardia. Il volto era celato da una barbuta che lasciava intravedere alcune ciocche azzurre. Per essere un soldato era piuttosto minuto. Possibile che...

Il guerriero fece di nuovo la prima mossa. Art parò un montante e un colpo orizzontale. Le loro lame si scontrarono più e più volte. I suoi attacchi non erano forti ma erano precisi e veloci rendendo difficoltosa la ricerca di un'apertura. Art menò un fendente che il guerriero evitò, contrattaccò di nuovo in affondo e per poco la lama non lo ferì al fianco. Era il suo momento; d'impeto, Art gli afferrò il braccio della spada e lo attirò a sé, prese una freccia dalla faretra e gliela piantò nel collo. Gli giunse un rantolo soffocato dalle sue labbra spalancate.

«Scusami, Raluca.»

«Io potrò morire qui, ma presto la pagherete, ribelli.» Sorrise sgradevole. La spada le scivolò dalla mano, cadendo a terra in un tonfo sordo. Il corpo di Raluca smise di opporre resistenza. Art lo prese tra le braccia e lo adagiò a terra. Inerme osservò la vita scivolare via da quella ragazza che un tempo aveva considerato amica.

«Ne ha fatta di strada la piccoletta in questi anni.» La voce di Nice lo raggiunse.

«Raluca era come Mitia. Una mente fine e un fisico inadatto allo scontro armato. Ne era conscia, ma ha cercato strenuamente di difendere il forte fino alla fine.» Art le passò una mano sul voltò chiudendole gli occhi. «Lo sapeva, Nice.»

«Cosa vorresti dire?»

«Che non abbiamo più una casa. Il covo a quest'ora sarà già stato distrutto. Ho dato ordine di sgomberarlo dopo la nostra partenza per evitare che l'impero facesse una carneficina. Raluca ci aveva scovati e stava premeditando di attaccarci, ma non aveva fatto i conti col fatto che stavamo a nostra volta marciando contro Forte Celeste. Spero che siano tutti riusciti a mettersi in salvo. Molti dei miei uomini hanno mogli, figli e genitori. Se fosse accaduto il peggio, sarò il responsabile della loro morte e a quel punto tutta la mia credibilità scomparirà come cenere al vento.»

«Una mossa suicida, complimenti.»

Frustrato, Art dovette dargliene atto. «Se Raluca aveva una spalla, a quest'ora sarà al covo. Non trovando più nessuno ritornerà sui suoi passi, ma quando giungerà nei pressi di Forte Celeste, noterà che sulla cima del dongione non ci sarà più a sventolare la bandiera dell'impero.» Art si rialzò da terra. «Dimmi, Nice. Cosa credi che farà a quel punto?»

«Quello che farebbe anche il più grande degli idioti. Correrebbe a fare rapporto alla sua imperatrice.»

Art tenne basso lo sguardo sul corpo privo di vita di Raluca. «Ed ecco che abbiamo il diversivo perfetto. Mentre i cani di Elyse verranno qui, io mi recherò indisturbato a est con chiunque voglia seguirmi. Tu fa pure ciò che vuoi. Con la caduta di Forte Celeste queste terre sono finalmente libere dal controllo dell'impero e prive di legge. Puoi startene qui e divertirti a depredare l'impero. Sei anche libero di prendere tutto ciò che ti serve dal forte. I miei uomini hanno già avuto l'ordine di razziarlo. È mia intenzione darlo alle fiamme.»

La voce di Nice proruppe aspra nella stanza. «Tu... Stai facendo tutto questo per l'Alleanza!»

Art si rialzò da terra. «a te la scelta, Nice. Se vuoi essere mio alleato o mio nemico.»

Un ghigno divertito comparve sul volto del disertore. «Mi piace. Un uomo così spregiudicato non lo avevo ancora incontrato nella vita. E sia, Art. Giocherò ancora un po' insieme a te.»

***

«Comandante, qui non è c'è anima viva.» Fece rapporto il soldato.

«Raluca non può essersi sbagliata.» Fredrian si passò una mano sul volto e sollevò lo sguardo verso la grotta. I segni di un accampamento c'erano tutti ed erano evidenti. Il luogo era stato sgomberato di recente. Doveva tornare indietro e fare rapporto. Non potevano essersi spinti troppo lontano. «Torniamo al forte. Qui non è rimasto più nulla.»

Tirò le briglie costringendo il cavallo a cambiare direzione e riprese la marcia verso ovest.

La figlia dell'imperatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora