Capitolo 19: La Rosa d'inverno

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Regione di Dalen, confine nord occidentale

La fortezza era visibile a chilometri di distanza. Una spessa cinta muraria difendeva le sue otto torri quadrangolari di altezza irregolare. Julius sedeva sul prato e osservava da lontano l'imponente costruzione; un autentico miracolo di ingegneria, fatta quasi interamente di blocchi di pietra bianca. 

Non era che un piccolo sassolino di fronte alla maestosità di Forte Torrechiara.

Si levò una leggera brezza che solleticò i fuscelli di erba secca attorno a lui. Appoggiò il gomito sopra un ginocchio e rimase ad ammirare l'orizzonte, cullato dal caldo sole estivo.

Attaccare frontalmente Forte Torrechiara sarebbe stata solo un'inutile carneficina. Doveva usare il cervello e il cervello gli suggeriva una cosa soltanto: veleno. Aveva a lungo studiato la conformazione del territorio; dalle mappe militari che gli aveva dato a disposizione Ergrauda erano stati segnati due corsi d'acqua. Quei torrenti dovevano essere due importanti fonti idriche per il forte. Se fossero riusciti a sciogliere in acqua del veleno, nessuno avrebbe avuto più la forza di rispondere al loro attacco; le perdite per l'Alleanza sarebbero state irrisorie e la conquista del Forte inevitabile.

Purtroppo però, nonostante il piano potesse funzionare sulla carta, Julius dovette scontrarsi con la dura realtà; i due corsi d'acqua sorgevano a nord, in pieno territorio dell'impero. Ciò significava che la squadra incaricata della missione avrebbe dovuto percorrere molta strada in terra nemica con il rischio di essere scoperti. Inoltre, era comune che la servitù dei generali avesse anche il ruolo di assaggiatore. Il malessere della vittima avrebbe allertato il generale e mandato in fumo l'intero piano. Allo stesso modo, se alcuni soldati avessero bevuto l'acqua prima di altri e avessero accusato dei sintomi, tutti gli altri si sarebbero allertati. Doveva trovare un veleno i cui effetti si sarebbero manifestati solo nel tempo, quando ormai la maggior parte dei soldati avesse bevuto l'acqua raccolta dai torrenti.

Ma esisteva qualcosa di simile? Non era uno speziale e non aveva idea di che cosa poteva servire per attuare questo piano.

Era davvero la strategia migliore o c'erano altre soluzioni? Mitia avrebbe di certo saputo dargli consiglio, ma quel ragazzo preferiva seguire l'idiota di suo fratello.

Si rialzò da terra. Forte Torrecchiara non era Forte della Serpe. La complessità era maggiore, ma non per questo doveva rinunciare all'obiettivo.

Ammesso che il suo piano fosse stato davvero attuabile, aveva bisogno di soldati fidati. Incrociò le braccia al petto e rifletté su chi potesse svolgere quell'importante compito. A un tratto, nella sua immaginazione apparve il volto di Sinisa, la giovane e promettente figlia di Elvezio. La prima impressione che aveva avuto su l'arcadiana era stata positiva. Restava da capire se il suo odio verso l'impero poggiasse su solide basi e se avrebbe accettato un compito che, potenzialmente, avrebbe ucciso un intero reggimento. Se avesse portato a termine l'incarico con successo, avrebbe tenuto conto delle sue abilità e avrebbe avuto un occhio di riguardo per lei. Sopratutto, l'avrebbe tenuta lontano da Art. Non voleva commettere lo stesso errore con Mitia.

Ora non restava che selezionare il tipo di veleno che si avvicinasse il più possibile ai sintomi a cui aveva pensato. Chi avrebbe potuto aiutarlo?

«Ma certo! Mira!» Esclamò dando voce al suo pensiero. Doveva tornare a Forte della Serpe e scriverle. La figlia di Ergrauda avrebbe certamente saputo dargli quello di cui aveva bisogno. Avrebbe tardato l'inizio delle operazioni, ma la ritenne una mossa necessaria per accrescere le loro possibilità di vittoria.

Diede un'ultimo sguardo al forte, prima di voltargli le spalle. Per ora si sarebbe ritirato. Avvicinarsi al suo obiettivo gli aveva dato i giusti stimoli. Si ritenne comunque soddisfatto. 

Promise a se stesso che la prossima volta avrebbe guardato quei boschi e quelle praterie da una prospettiva diversa, magari da una delle otto Torri di Forte Torrechiara.

***

Art varcò l'ingresso della dimora di Ergrauda Sygrove a passo spedito. Desiderava incontrare al più presto il suo benefattore e riferirgli le buone notizia da Siorroc. 

Dopo Ergrauda, però, sarebbe giunto anche il momento del confronto con il fratello. Quella sarebbe stata la parte che meno avrebbe preferito in assoluto, ma necessaria per non far incrinare i loro rapporti e, soprattutto, per non mandare all'aria ciò che in questi anni avevano costruito sacrificando tutto: l'Alleanza.

Raggiunse il lucernario al centro dell'atrio e attese di essere ricevuto da un membro della servitù. La luce che filtrava da esso illuminava una piccola aiuola dov'erano presenti solo piante aventi piccole foglie dalla forma allungata e dentellata. In quel periodo dell'anno, i giardini interni del palazzo di Ergrauda erano impreziositi da colorati fiori esotici, mentre quelle piante gli parvero alquanto insignificanti. 

«La Rosa D'inverno è uno dei pochi fiori qui a Dalen che fiorisce nella stagione più fredda.» Una voce femminile irruppe nel salone.

«Non ci avevo mai fatto caso» rispose Art evitando d'incrociare lo sguardo della bella figlia di Ergrauda.

Mira sbuffò. «Chissà perché non sono sorpresa.» Indossava una maglia bianca dalle maniche a sbuffo che le lasciava scoperto l'ombelico e una gonna dello stesso colore che le arrivava fino alle caviglie dove s'intravedevano dei sandali alla schiava. I suoi lunghi capelli corvini erano acconciati in una morbida crocchia. Tra le mani, una pergamena. 

Prima che Art potesse replicare, fu lei a prendere parola. «Un uomo di tuo fratello mi ha recapitato questa lettera. Chiede di un veleno da disciogliere in acqua abbastanza potente per stendere un'armata di uomini grandi, grossi e cattivi.»

Se suo fratello le aveva chiesto una cosa simile poteva significare solo una cosa: Julius si stava preparando per il prossimo attacco contro l'impero e, secondo la tabella di marcia, altro non poteva essere che l'assalto a Forte Torrechiara.

Si morse un labbro. C'era da aspettarsi che Julius non avesse atteso il suo ritorno. Forse avrebbe dovuto delegare l'incontro con Ergrauda e i mercanti a Mitia e partire subito per raggiungerlo.

«Potrei avere quello che fa per lui, nonostante la mia professione sia dedita a curare le persone, non a ucciderle.» Un 'espressione di finta innocenza si dipinse sul suo volto.

Art sapeva molto bene dove voleva andare a parare Mira. «Che cosa vuoi in cambio?»

Sentì un tocco delicato avvolgergli il braccio e due morbide labbra schioccargli un bacio sulla guancia. «Sai bene che tra i due fratelli ho sempre avuto un debole per quello più giovane.» Sussurrò con malizia Mira.

Art non si scompose. «Prepara il veleno per mio fratello e avrai ciò che vuoi.» Ninfomane del cazzo.

«E sia, farò ciò che mi chiedi. Sciolse l'abbraccio e salì sopra l'aiuola. Tra lo stupore di Art, cominciò a sradicare tutte le piante, radici comprese.

Una serva, vedendola all'opera, s'intromise. «Mia signora, così vi sporcherete l'abito.»

«È il tuo lavoro lavarlo, no? Queste piante mi servono» disse inviperita. 

Lanciò alcuni dei piccoli arbusti ad Art che li prese al volo.

«Aiutami a portarli all'Ospitarium. Fai attenzione alla linfa. A contatto con la pelle causa irritazione.»

Art, ancora interdetto, si limitò a ubbidire. All'uscita del palazzo di Ergrauda, incrociò lo stratega.

«Mitia, devo andare da mio fratello. Presto muoverà battaglia contro Forte Torrechiara.»

All'amico bastò uno sguardo verso la donna per comprendere la situazione. Gliene fu grato. «D'accordo, incontrerò io Ergrauda e farò da portavoce ai mercanti di Siorroc.»

«Ti ringrazio.»

Mitia gli fece cenno di saluto con il capo ed entrò a palazzo. Non aveva dubbi che avrebbe fatto un ottimo lavoro. Grazie alla Dea c'era lui al suo fianco. Ora non gli restava che attenersi all'accordo con Mira. Una volta pronto, avrebbe preso in consegna il veleno e lo avrebbe portato al fratello. Un primo gesto per tentare una riconciliazione.


La figlia dell'imperatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora